Cultura

Paolo Orlandini, morto a 97 anni il “comandante Millo”, colonna della Resistenza marchigiana. “Sono cattivo, non ho mai perdonato i fascisti”

Il partigiano si è spento nella notte in ospedale ad Ancona, dov'era ricoverato dal 26 maggio. Martedì il funerale laico. La figlia Ombretta al fatto.it: "In chiesa non ce lo porto, non c'è mai andato e avrebbe voluto così". Nei suoi ultimi giorni diceva: "Siamo rimasti in pochi e presto non resterà che la memoria"

di Pierfrancesco Curzi

La Resistenza perde un altro protagonista con la morte di Paolo Orlandini, nome di battaglia “comandante Millo”. Il partigiano anconetano aveva 97 anni e si è spento nella notte all’ospedale Inrca del capoluogo marchigiano, dov’era ricoverato da mercoledì 26 maggio a causa di un’insufficienza respiratoria. “È rimasto lucido fino all’ultimo. Pensi, venerdì ci siamo parlati al telefono con una videochiamata. Per fortuna si è spento nel sonno, senza soffrire”, racconta al fattoquotidiano.it l’unica figlia, Ombretta, a poche ore dalla scomparsa. Domani la camera ardente, martedì il funerale laico al cimitero di Ancona: “Mio padre in chiesa non ce lo porto – rivendica Ombretta -, non c’è mai andato e avrebbe voluto così”.

Dell’estrema lucidità, fino in punto di morte, di Orlandini non c’è motivo di dubitare. Ancora poche settimane fa il partigiano, iscritto al Pd, commentava l’attualità politica. Sull’ex segretario dem e ora leader di Italia Viva, Matteo Renzi, diceva: “L’ho appoggiato all’inizio, credevo potesse essere un valore aggiunto per il partito e per la sinistra. Mi sbagliavo. Presto ho iniziato a percepire che Renzi era soltanto fumo e di sinistra non aveva nulla. Se ho pensato di lasciare il Partito democratico? Mai, la disgregazione è il cancro della politica, preferisco lottare all’interno e non fuori dal partito. Dalla scissione, dolorosissima, della Bolognina non ho mai cambiato idea”. E poi, a inizio maggio, sull’ascesa delle destre e l’attacco ai valori della Resistenza, con le polemiche suscitate dal messaggio del direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale delle Marche, Marco Ugo Filisetti, sul 25 aprile: “Questa destra fa paura perché resta legata ai valori del fascismo, sono preoccupato. Filisetti di fatto ha messo tutti sullo stesso piano, parlando di sogni reciproci tra chi praticava la violenza e le vittime. Chi propone una determinata rilettura della storia è pericoloso. Il provveditore ha ritirato fuori il concetto di ‘guerra civile’ per minimizzare tutto: la nostra è stata una guerra di liberazione, stop”.

Gad Lerner, in occasione del 75° anniversario della Liberazione, ha raccolto una serie di testimonianze di partigiani italiani in un meraviglioso documentario, “La scelta”. Tra le persone intervistate c’è anche lui, il comandante Millo: “La Medaglia d’argento al valor militare – raccontava al giornalista -, me l’hanno data per la liberazione di Osimo, il 6 luglio del 1944. Le altre città erano state sgomberate dai tedeschi, Osimo l’abbiamo conquistata noi. La medaglia l’hanno data a me, ma era da condividere con tutta la formazione che combattè in quel periodo. Sono stato fatto comandante molto giovane perché ci siamo dovuti sostituire a quelli che mancavano: sono partito con 6 uomini, alla fine ne guidavo 460. Dall’8 settembre del ’43 al 29 aprile del ’45 sono stato in guerra e da allora i combattimenti li sogno di notte. Io sono cattivo, non ho mai perdonato i fascisti, ho solo rispetto per i loro caduti, ma non mescoliamo le cose, non lo accetto”, diceva prima di cedere all’emozione e lasciarsi andare a un pianto liberatorio.

Nell’intervista al fattoquotidiano.it in occasione delle celebrazioni per il 25 aprile del 2020, Orlandini aveva raccontato la propria esperienza durante la prima ondata dell’emergenza Covid. “Restando a casa ho il tempo per sistemare un po’ le mie cose, una sorta di archivio personale fatto di documenti e oggetti accumulati in tanti anni e poi dimenticati. In questo modo potrò lasciare un’eredità più ordinata ai posteri”, raccontava. Da quel colloquio è passato più di un anno. Nei suoi ultimi giorni, con chi gli era vicino, si confidava così: “Siamo rimasti in pochi e presto non resterà che la memoria”.

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