Tre anni e sei mesi di reclusione. È la condanna inflitta dalla Corte d’assise di Taranto a Nichi Vendola, ex governatore di Puglia e leader di Sinistra Ecologia e Libertà ritenuto colpevole in primo grado di concussione per le pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia Giorgio Assennato affinché ammorbidisse la sua linea dura contro l’ex Ilva. Una pena più bassa rispetto ai 5 anni richiesti dall’accusa, ma che ha scatenato la reazione furiosa di Vendola: “Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità”, ha commentato l’ex presidente sostenendo che la sentenza sia “una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare” che colpisce “quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all’avanguardia contro i veleni industriali”. Il verdetto, insomma, secondo Vendola, “rappresenta l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata”.
Per la procura, nel luglio 2010, quando l’Ilva era travolta dall’emergenza per i livelli troppo alti di benzo(a)pirene nell’aria di Taranto, avrebbe implicitamente minacciato Assennato di non riconfermarlo nell’incarico al vertice di Arpa Puglia perché colpevole di aver prodotto una nota nella quale aveva evidenziato l’esigenza dl procedere di ridurre e rimodulare il ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto. Quella nota, infatti, aveva letteralmente terrorizzato i vertici dell’Ilva che era corsa ai ripari e investito Vendola della vicenda. Ed è in questo contesto che il 6 luglio 2010 è proprio Vendola a chiamare il responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva Girolarmo Archinà: in quella telefonata l’allora presidente della giunta regionale rassicura Archinà chiedendogli di riferire ai Riva che “il presidente non si è defilato”.
Il 15 luglio incontra i vertici del Gruppo Riva e, secondo quanto emerge dalle intercettazioni, Assennato sarebbe stato tenuto fuori alla porta perché ricevesse un segnale forte. “Giorgio Assennato mi avrebbe dato una sberla se lo avessi lasciato fuori alla porta. Non mi passava nemmeno per l’anticamera del cervello di non riconfermarlo alla guida di Arpa Puglia”, dirà Vendola in aula il 27 febbraio 2019. Al termine di quell’incontro Ilva e Regione Puglia concordano l’avvio del monitoraggio diagnostico: una scelta che appare rivoluzionaria, ma in realtà affossa la proposta di Assennato. Ed è per questo che quella mattina quando la stampa arriva per la conferenza stampa convocata d’urgenza, Assennato appare ai cronisti particolarmente abbattuto. “Ero rassegnato – ha spiegato Assennato in aula lo scorso 17 maggio – Non per le inesistenti pressioni, ma perché vedevo fallire il mio programma, da medico di sanità pubblica, di risanamento della qualità dell’aria dei Tamburi”. Insomma per l’ex dg Arpa l’amministrazione Vendola – con l’allora assessore all’ambiente Lorenzo Nicastro – avrebbe svuotato “di senso le nostre relazioni” non dando seguito alla proposta di ridurre la produzione dell’Ilva nei giorni di vento.
A distanza di quasi 11 anni da quella data, la Corte ha condannato per concussione Vendola nonostante anche Assennato abbia sempre negato di aver ricevuto pressioni. “Sappiano i giudici che hanno commesso un grave delitto contro la verità e contro la storia – ha aggiunto Vendola – Hanno umiliato persone che hanno dedicato l’intera vita a battersi per la giustizia e la legalità. Hanno offerto a Taranto non dei colpevoli ma degli agnelli sacrificali: noi non fummo i complici dell’Ilva, fummo coloro che ruppero un lungo silenzio e una diffusa complicità con quella azienda.” Dopo essere stato in silenzio per 10 anni, Vendola ha infine annunciato “ora non starò più zitto: questa condanna per me e per uno scienziato come Assennato è una vergogna. Io combatterò contro questa carneficina del diritto e della verità”.
Giustizia & Impunità
Ex Ilva, Vendola condannato per concussione. “Fece pressioni sul dg di Arpa Puglia”: ecco di cosa è accusato l’ex governatore pugliese
Per la procura, nel luglio 2010, quando l’Ilva era travolta dall’emergenza per i livelli troppo alti di benzo(a)pirene, avrebbe implicitamente minacciato Assennato di non riconfermarlo nell’incarico perché aver prodotto una nota nella quale aveva evidenziato l'esigenza dl procedere di ridurre e rimodulare il ciclo produttivo dell'acciaieria. Lui ha sempre negato e anche l'ex numero dell'Agenzia ha detto in aula di non aver ricevuto pressioni
Tre anni e sei mesi di reclusione. È la condanna inflitta dalla Corte d’assise di Taranto a Nichi Vendola, ex governatore di Puglia e leader di Sinistra Ecologia e Libertà ritenuto colpevole in primo grado di concussione per le pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia Giorgio Assennato affinché ammorbidisse la sua linea dura contro l’ex Ilva. Una pena più bassa rispetto ai 5 anni richiesti dall’accusa, ma che ha scatenato la reazione furiosa di Vendola: “Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità”, ha commentato l’ex presidente sostenendo che la sentenza sia “una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare” che colpisce “quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all’avanguardia contro i veleni industriali”. Il verdetto, insomma, secondo Vendola, “rappresenta l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata”.
Per la procura, nel luglio 2010, quando l’Ilva era travolta dall’emergenza per i livelli troppo alti di benzo(a)pirene nell’aria di Taranto, avrebbe implicitamente minacciato Assennato di non riconfermarlo nell’incarico al vertice di Arpa Puglia perché colpevole di aver prodotto una nota nella quale aveva evidenziato l’esigenza dl procedere di ridurre e rimodulare il ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto. Quella nota, infatti, aveva letteralmente terrorizzato i vertici dell’Ilva che era corsa ai ripari e investito Vendola della vicenda. Ed è in questo contesto che il 6 luglio 2010 è proprio Vendola a chiamare il responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva Girolarmo Archinà: in quella telefonata l’allora presidente della giunta regionale rassicura Archinà chiedendogli di riferire ai Riva che “il presidente non si è defilato”.
Il 15 luglio incontra i vertici del Gruppo Riva e, secondo quanto emerge dalle intercettazioni, Assennato sarebbe stato tenuto fuori alla porta perché ricevesse un segnale forte. “Giorgio Assennato mi avrebbe dato una sberla se lo avessi lasciato fuori alla porta. Non mi passava nemmeno per l’anticamera del cervello di non riconfermarlo alla guida di Arpa Puglia”, dirà Vendola in aula il 27 febbraio 2019. Al termine di quell’incontro Ilva e Regione Puglia concordano l’avvio del monitoraggio diagnostico: una scelta che appare rivoluzionaria, ma in realtà affossa la proposta di Assennato. Ed è per questo che quella mattina quando la stampa arriva per la conferenza stampa convocata d’urgenza, Assennato appare ai cronisti particolarmente abbattuto. “Ero rassegnato – ha spiegato Assennato in aula lo scorso 17 maggio – Non per le inesistenti pressioni, ma perché vedevo fallire il mio programma, da medico di sanità pubblica, di risanamento della qualità dell’aria dei Tamburi”. Insomma per l’ex dg Arpa l’amministrazione Vendola – con l’allora assessore all’ambiente Lorenzo Nicastro – avrebbe svuotato “di senso le nostre relazioni” non dando seguito alla proposta di ridurre la produzione dell’Ilva nei giorni di vento.
A distanza di quasi 11 anni da quella data, la Corte ha condannato per concussione Vendola nonostante anche Assennato abbia sempre negato di aver ricevuto pressioni. “Sappiano i giudici che hanno commesso un grave delitto contro la verità e contro la storia – ha aggiunto Vendola – Hanno umiliato persone che hanno dedicato l’intera vita a battersi per la giustizia e la legalità. Hanno offerto a Taranto non dei colpevoli ma degli agnelli sacrificali: noi non fummo i complici dell’Ilva, fummo coloro che ruppero un lungo silenzio e una diffusa complicità con quella azienda.” Dopo essere stato in silenzio per 10 anni, Vendola ha infine annunciato “ora non starò più zitto: questa condanna per me e per uno scienziato come Assennato è una vergogna. Io combatterò contro questa carneficina del diritto e della verità”.
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Giustizia & Impunità
Albania, la Corte non convalida: liberi i 43 migranti. Opposizioni: ‘Fallimento di Meloni’. Da destra riparte l’attacco ai giudici: ‘Si sostituiscono al governo’
Politica
Almasri, ora la maggioranza vuole eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale. M5s e Pd: “Così pm sotto il governo e politici impuniti”
FQ Magazine
Vespa scatenato difende il governo: “Ogni Stato fa cose sporchissime”. Opposizioni: “Superato il limite”
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - "Altri 43 migranti tornano in Italia dai centri in Albania. Presidente Meloni, errare è umano, perseverare è diabolico. Quanti altri viaggi a vuoto dovremo vedere prima che si metta fine a questa pagliacciata costosa per i contribuenti?”. Così Matteo Ricci, europarlamentare Pd, in un post sui social.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - "Terzo flop del ‘modello Albania’: la Corte d’Appello di Roma smonta l’ennesima trovata propagandistica del governo Meloni, sospendendo i trattenimenti e disponendo il trasferimento in Italia dei migranti deportati. Per la terza volta, la destra ha provato a forzare la mano e per la terza volta è stata bocciata. Hanno sprecato milioni di euro pubblici, violato diritti fondamentali e messo in piedi un’operazione disumana, solo per alimentare la loro propaganda. Un fallimento su tutta la linea, mentre il Paese affonda tra tagli alla sanità, precarietà e crisi sociale. Ora che farà Meloni? Toglierà la competenza anche alle Corti d’Appello per accentrarla a Palazzo Chigi?”. Così Alessandro Zan, responsabile Diritti nella segreteria nazionale Pd ed europarlamentare.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - "La Corte d’Appello di Roma libera di nuovo immigrati irregolari per i quali potevano essere eseguite rapidamente le procedure di rimpatrio e rimette ancora la palla alla Corte di Giustizia Europea sulla questione dei Paesi sicuri. Le ordinanze che non convalidano i trattenimenti nel centro in Albania e che rimettono alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale, insistono sull’individuazione in via generale ed astratta dei “paesi sicuri”, ripercorrendo le motivazioni delle decisioni precedenti, senza giudicare delle posizioni dei singoli migranti. Peccato che la Corte di Cassazione ha ampiamente chiarito, lo scorso dicembre, che questa è una competenza del Governo e non della magistratura. Incredibile che la Corte d’Appello di Roma abbia considerato irrilevante questo principio e insista nel voler riconoscere ai singoli magistrati un potere che è esclusiva prerogativa dello Stato”. Lo dichiara la deputata di Fratelli d’Italia, Sara Kelany, responsabile del Dipartimento immigrazione.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - "Non stupisce la decisione della Corte d’Appello di Roma di bloccare, per l’ennesima volta, una misura, tra l’altro apprezzata anche in Europa, con cui l’Italia vuole fronteggiare l’immigrazione massiccia e garantire la sicurezza nazionale. I magistrati non usino il loro potere per contrastarne un altro, riconosciuto dalla costituzione e legittimato dagli italiani”. Lo dichiara il deputato della Lega Igor Iezzi.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - “La Corte d’Appello di Roma libera ancora dei migranti irregolari che potevano essere rapidamente rimpatriati, rimandando di nuovo alla Corte di Giustizia Europea sulla questione dei paesi sicuri. Ma la Corte di Cassazione aveva chiarito che questa è una competenza del Governo. Evidentemente alcuni tribunali italiani considerano irrilevanti i principi fissati dalla Suprema Corte. Di fronte a questo non posso che esprimere profondo stupore". Lo dichiara il capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Lucio Malan.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - “E anche oggi si certifica il fallimento di Meloni. I Centri per i migranti in Albania non sono la risposta al fenomeno migratorio, che richiede rispetto per i diritti umani e condivisione delle responsabilità a livello europeo. Nei comizi Meloni potrà continuare a dire che fun-zio-ne-ran-no ma nella realtà sono solo uno spreco immane di risorse. Se quei fondi fossero stati spesi per assumere infermieri e medici, o per aumentare gli stipendi di quelli che già lavorano nella sanità pubblica, allora si’ che sarebbero stati utili agli italiani!”. Così in una nota Marina Sereni, responsabile Salute e sanità nella segreteria nazionale del Pd.
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - “Quella dei Cpr in Albania è una gigantesca buffonata. Siamo di fronte a centri totalmente inutili nella gestione del fenomeno migratorio, pasticciato sul piano giuridico, lesivi dei più elementari diritti umani e anche costosissimi. Il governo dovrebbe scusarsi pubblicamente, chiudere i centri e destinare gli ottocento milioni di euro che finiranno in questi luoghi inutili e dannosi a sostegno della sanità pubblica”. Così in una nota, Pierfrancesco Majorino, responsabile immigrazione nella segreteria nazionale del Pd.