Sarà una consulenza a stabilire le cause dello schianto della cabina della funivia Stesa-Mottarone quattordici morti tra cui due bambini. La procura di Verbania è al lavoro per capire come dovrà essere impostata per stabilire, con gli accertamenti irripetibili, “perché la fune si è rotta e si è sfilata, e se il sistema frenante aveva dei difetti“, e da queste analisi si vedrà se “emergeranno” anche altre responsabilità. Ormai è pacifica l’applicazione di forchettoni per disabilitare i freni della cabina 3. Ma tra le ipotesi ancora tutte da verificare appunto è lo stato della fune ed eventualmente una anomalia a questa riferibile. Bisognerà indagare e capire se – come riporta oggi il Corriere della Sera – i rumori anomali e i continui blocchi fossero i segnali della rottura della fune che ha portato alla strage. Un quesito che sarà sottoposto al consulente tecnico nominato dalla Procura, il professor Giorgio Chiandussi del Politecnico di Torino. Che potrebbe non essere il solo come ha dichiarato oggi la procuratrice capo di Verbania, Olimpia Bossi.
“Se la centralina del sistema frenante della cabina 3 (quella precipitata, ndr ) segnalava una perdita di pressione (come sostiene il caposervizio Tadini riferendo di quei rumori, ndr ) una delle ipotesi è che la fune di trazione si stesse muovendo dalla propria sede in maniera anomala” ha spiegato agli investigatori dell’Arma il 27 maggio scorso, Davide Marchetto, il responsabile tecnico della Rvs di Torino che ha eseguito i due interventi di manutenzione sulla funivia di Stresa chiesto dall’unico indagato rimasto soggetto a una misura cautelare. Marchetto racconto che il 30 aprile si era concentrato su altri lavori e un’altra cabina. Il 4 febbraio era invece intervenuto sulla cabina 3 e il problema riguardava la centralina dei freni con il freno che scattava spesso fermando la cabina e costringendo l’operatore a raggiungerla ogni volta per sbloccarla. “Il problema – ha spiegato il tecnico – era relativo alla pompa della centralina del freno, che andava sostituita. In pratica un malfunzionamento determinava che il freno rimanesse chiuso bloccando la cabina. Abbiamo quindi sostituito la pompa e la cabina ha continuato a circolare regolarmente”. Ma non essendo stato risolto il problema erano stati inseriti i forchettoni.
Ora sotto la lente di inquirenti e investigatori ci sono il ruolo e le presunte responsabilità dell’operatore che quella mattina del 23 maggio, giorno della tragedia, non rimosse i forchettoni dai freni di emergenza su “ordine”, come chiarito da lui stesso a verbale, di Tadini. Le analisi sulle eventuali responsabilità si concentrano su quella mattina, sulla decisione di tenere i ceppi e sulla consapevolezza del dipendente che non li tolse. Il dipendente-testimone, infatti, ha messo a verbale il nome dell’operatore che quel giorno mantenne i ceppi sulla cabina 3 “su autorizzazione” di Tadini. Lo stesso operatore ha confermato ai pm che fu il caposervizio a dargli l’ordine e, in linea col verbale di Tadini, ha anche raccontato che il tecnico aveva più volte discusso col gestore Nerini e col direttore Perocchio perché lui avrebbe voluto “chiudere” l’impianto e gli altri due non volevano per “motivi economici”. È l’unico teste agli atti, in sostanza, che è in linea con Tadini e ‘accusa’ i vertici. L’operatore ha anche descritto Tadini come “demoralizzato” e turbato in quei giorni perché, a suo dire, voleva interrompere le attività della funivia per le anomalie ai freni. A Tadini, secondo l’operatore, vennero fatte “pressioni” da Nerini per non fermare i viaggi delle cabine. Le analisi su presunte responsabilità di altri, oltre a Tadini, nel tenere su i forchettoni a bloccare i freni si concentrano su quel mattino. Anche se pare che fosse una prassi che andava avanti almeno da fine aprile e non è escluso quindi che contestazioni di omissioni dolose di cautele possano essere portate avanti dagli inquirenti anche per altri giorni in cui la cabina viaggiava coi ceppi inseriti e viaggiatori all’interno, ma per fortuna non accadde nulla.