Cultura

Per far imbufalire un battaglione di storici medievisti ce ne vuole, eppure…

Per far imbufalire un battaglione di storici medievisti ce ne vuole. Eppure – visto il modo in cui sono trattate le strutture che dovrebbero garantire il loro lavoro – sta succedendo. Ci sono riusciti coloro che stanno nelle stanze dei bottoni, inclusi gli inquilini di Palazzo Chigi e dei ministeri, nonostante il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Perché? Beh, gli storici – in compagnia di altri accademici, studiosi, studenti e di molti che, a vario titolo, svolgono lavori di intelletto e ricerca – ci provano a resilire (verbo latino da cui deriva la parola “resilienza”, intesa come capacità di sostenere gli urti senza spezzarsi e di riorganizzare la propria vita dinanzi alle difficoltà). Però è dura. Quindi la positività lascia spazio allo sconforto. Il motivo: si trovano di fronte alle porte quasi del tutto sbarrate (a volte totalmente chiuse) di biblioteche e archivi; sono luoghi pieni della materia prima loro necessaria, ma pochissimi possono accedervi. Per capire come dalla resilienza si possa passare, usando un eufemismo, alla perdita della pazienza, basta leggere quello che arriva sulla lista di discussione del Sismed, la Società Italiana degli Storici Medievisti.

Ecco Federico Lattanzio, assegnista di ricerca dell’Università di Roma Tor Vergata. Scrive: “per risollevare una questione che negli ultimi 15 mesi è stata più volte sollevata… quella della fruibilità (anzi, della non fruibilità) di biblioteche e archivi, nonostante il Paese stia ormai riaprendo ogni attività. Porto il caso di Roma, in particolare della Biblioteca Nazionale Centrale; l’unica biblioteca romana, tra quelle statali e universitarie, a possedere davvero tutto ciò che può essere utile a studenti e ricercatori… Da 15 mesi la fruibilità di questo polo bibliotecario fondamentale è stata azzerata in alcuni periodi; per lo meno dimezzata in altri, come ancora attualmente”.

Prosegue: “Le procedure di prenotazione online di posti e volumi sono esilaranti: il servizio si apre ogni giorno feriale alle 7:30, ma spesso e volentieri alle 7:45 già chiude. Spiegano che il tetto massimo di richieste giornaliere è stato superato. Procedure che, in sintesi, ricordano la divertentissima signorina Vaccaroni del programma La Tv delle Ragazze, dipendente statale interpretata dalla magistrale Cinzia Leone, il cui tormentone era: ‘L’ufficio è aperto dalle 8 alle 8. Cogli l’attimo!’”.

Lattanzio aggiunge: la pandemia in Italia è “spesso sfruttata quale ulteriore pretesto per diminuire i servizi, per spendere meno in personale e servizi pubblici… A maggior ragione ora che il Paese sta rapidamente riaprendo tutto, non si comprende per quale motivo biblioteche e archivi debbano continuare ad essere così poco raggiungibili. Da 15 mesi ciò grava in particolare su dottorandi, borsisti, assegnisti, eccetera… Se questo è normale, in un Paese che continua a volersi definire civile e avanzato, allora ok. Dal momento che però normale non sembra, chi – se non le società storiche, i dipartimenti universitari, i docenti di ruolo – ha maggior voce in capitolo per fare le dovute pressioni e rimostranze?”

Un altro assegnista, F. B., descrive la situazione nell’Archivio di Stato di Venezia: “Lo studioso ha oggi a disposizione due sessioni (4 ore e mezzo) a settimana previo superamento di un click day, che ogni mese assegna i posti a distanza di 60 giorni dal momento della prenotazione. Ad esempio, lo scorso 17 maggio sono stati assegnati i posti disponibili per agosto… sono 10 a sessione e l’apertura viene mantenuta al solo turno mattutino (ad eccezione del martedì). I pezzi consultabili sono 3, ma non possono essere richiesti nuovamente prima di 15 giorni. Gli inventari, che non sono disponibili online, non possono essere consultati. Auspico anch’io un fronte unito di docenti e società storiche”.

D. C. replica con una recente esperienza nello stesso Archivio veneziano: “Non essendo riuscito a conquistare la prenotazione tramite click day, ho chiesto la riproduzione dei pezzi… Però la risposta è stata: ‘Purtroppo l’Istituto non è attualmente in grado di assicurare l’esecuzione di nuove riprese fotografiche di materiale liberamente consultabile in sala studio. La invitiamo a prenotare un appuntamento richiedendo, qualora non lo avesse ancora fatto, l’inserimento in lista d’attesa. In tal modo potrà essere contattato per subentrare ad altri utenti che hanno cancellato il proprio appuntamento’. Mi pare una versione adattata del paradosso del comma 22”.

F. S. concorda: “Anche a Firenze l’accesso all’Archivio di Stato è ormai estremamente limitato (uno ogni 15 giorni, quando si riesce a trovare posto). Poco più agevole risulta prenotare un posto in Biblioteca Nazionale… Ho l’impressione che si stia usando la pandemia come giustificazione per sospendere o ridurre a tempo indeterminato servizi di consultazione per tutti noi indispensabili. Davvero credo si debba levare una voce forte di protesta”.

Dalla stessa zona, interviene S. T.: “Il problema sollevato è gravissimo e della massima urgenza. Da quasi un anno ormai a Firenze circa 200 utenti hanno creato un’associazione no profit per fare azione di lobbying a favore di aperture non finte dell’Archivio di Stato…. Purtroppo… stanno riuscendo nell’intento di chiudere virtualmente uno degli archivi più importanti al mondo per la storia medievale”.

Clara Biondi scrive da Catania, parlando delle Biblioteche Riunite “Civica e A. Ursino Recupero” di Catania, polo museale, bibliotecario e archivistico di eccellenza che “da decenni vive nel più completo abbandono”. Aveva un organico di 15 persone fino agli anni Novanta, oggi “sopravvive grazie alla buona volontà, generosità o spirito di abnegazione di un unico impiegato: ovvero la direttrice in carica dell’ultimo decennio… Senza archivi o biblioteche la ricerca non ha più senso di esistere, almeno per il settore storico!”.

Le fa eco Kristjan Toomaspoeg, professore associato di Storia medievale nell’ateneo di Lecce: “Indipendentemente dall’epidemia… non c’è il personale e non ci sono i fondi. Il mancato turnover non è solo un problema degli studiosi, ma anche della giovane generazione che segue i corsi dei Beni Culturali. A Lecce abbiamo un Dipartimento dei Beni Culturali che, se la situazione non cambia, sarà una fabbrica di disoccupati. Si perdono le eccellenze, si perdono le vite intere dei giovani”.

Insomma, di questo passo forse vedremo gli storici medievisti (e non solo) sulla barricate. Magari al grido “Ora e sempre, resilienza!”