L’Italia riapre anche con gli Europei di calcio. Il torneo che prenderà il via l’11 giugno proprio da Roma è stato il grande evento che ad aprile ha segnato l’inizio del ritorno alla normalità, con l’annuncio del governo della presenza di pubblico. Ma non è tutto così semplice. Mancano 10 giorni a Italia-Turchia, sale la tensione e pure l’angoscia. Perché bisogna far entrare 20mila persone all’Olimpico. Vaccinati, guariti dal Covid o tamponati negativi: su questo il Cts è stato chiaro. Ha detto chi, ma non ha detto come. Si pensava di fare tutto digitalmente, attraverso una App, siamo nel 2021. Ma la prova generale non è andata benissimo: la finale di Coppa Italia organizzata dalla Serie A è finita nel mirino del Garante della Privacy, che ha avuto da ridire sul trattamento dei dati degli spettatori, tanto da aprire una istruttoria a riguardo.
Da metà aprile, da oltre un mese e mezzo, si sa che agli Europei di calcio ci sarà il pubblico. Il 25% della capienza dell’Olimpico, quasi 20mila persone. La Uefa lo ha preteso e il governo Draghi è stato costretto ad acconsentire, quando ancora mezzo Paese era chiuso, altrimenti avrebbe perso il torneo. Così la FederCalcio, cui spetta l’onore e l’onere dell’organizzazione, ha cominciato a prepararsi e stilare un protocollo per il ritorno dei tifosi, insieme al Comitato tecnico-scientifico. Facile capire l’entusiasmo: il pallone, che con le porte chiuse ci ha rimesso centinaia di milioni di euro e non vede l’ora di ritrovare i tifosi (e i loro soldi), non ha perso tempo. Anzi, una volta ottenuto il via libera per gli Europei ha forzato la mano pure per la Coppa Italia: il 19 maggio a Reggio Emilia per la finale tra Atalanta e Juventus c’erano 4mila persone al Mapei Stadium. Tutti hanno dovuto seguire lo stesso protocollo che sarà applicato agli Europei, in una sorta di test: registrarsi sulla App “Mitiga”, inserire il certificato vaccinale (con doppia dose), di guarigione (non oltre 6 mesi) o di un tampone negativo entro 48 ore, in modo da sbloccare il Qr-Code associato al biglietto. Nessuna coda, nessun intoppo: è filato tutto liscio. Durante la partita. I problemi sono arrivati dopo.
Finito il match, il Garante della privacy ha scritto ai vertici del pallone. Ha pure sbagliato indirizzo, ha contattato la Federcalcio invece della Lega, organizzatore della Coppa Italia, ma la sostanza non cambia: voleva avere lumi su come vengono raccolti e soprattutto trattati i dati degli spettatori. Anche perché nessuno li aveva informati preventivamente, e il consenso che pure viene firmato al momento dell’iscrizione potrebbe non bastare: i dati sanitari sono molto più sensibili di quelli personali ed evidentemente c’è ancora qualche dubbio. In generale sull’utilizzo di questo tipo di App, e forse anche nello specifico, sulle modalità con cui viene raccolto in questo caso il consenso informato.
La Serie A si smarca, spiegando che si è limitata ad utilizzare lo strumento scelto dalla Figc per gli Europei. La Federazione da un mese aspetta dalle autorità un’indicazione chiara su come far tornare i tifosi allo stadio. Il ricorso ad una App privata è un passaggio delicato (anche perché il mercato è pieno di aziende che si propongono). La scelta della Figc è caduta su Mitiga, che assicura di ridurre al minimo indispensabile il trattamento dei dati sanitari, ma l’Authority non ha ancora dato il via libera. La Federazione puntava sul digitale per velocizzare i controlli ed evitare assembramenti all’ingresso, ma potrebbe non essere possibile. In settimana andrà presa per forza una decisione: la App non è l’unica alternativa, ci sono altre soluzioni digitali, ma a questo punto non è detto che non si debba tornare al vecchio formato cartaceo. Con tutto ciò che comporta, controlli più lunghi, rischio code. Il tempo stringe.