A distanza di alcune settimane dall’incidente che nel Canale di Suez ha coinvolto la portacontainer Ever Given – fortunatamente senza vittime né danni ambientali di rilievo – e a meno di un anno dal disastro petrolifero causato alle Mauritius dal naufragio della Wakashio, una nuova nave è in questo momento al centro delle cronache internazionali. Si tratta della portacontainer MV X-Press Pearl, battente bandiera di Singapore, che ha preso fuoco alcuni giorni fa al largo dello Sri Lanka, con pesantissime ripercussioni a livello ambientale.

La nave era ferma a quasi dieci miglia nautiche a nord-ovest di Colombo, la città più grande e popolosa dello Stato asiatico, in attesa di entrare nel porto, quando a bordo è scoppiato un incendio andato avanti per giorni. L’incendio, spiega Rainews, “sarebbe stato causato da sostanze chimiche trasportate sulla nave battente bandiera di Singapore. La nave trasportava 1.486 container, comprese 25 tonnellate di acido nitrico e altri prodotti chimici”.

Secondo quanto ricostruisce corrieremarittimo.it, “all’origine dell’incendio sarebbe stato l’imballaggio difettoso che avrebbe generato la perdita di acido, riscontrato dall’equipaggio già quando la nave si trovava nel Mar Arabico a migliaia di chilometri di distanza dallo Sri Lanka. Rilevata la perdita, il capitano della nave ha quindi contattato due porti – Hazira sulla costa occidentale dell’India e Hamad in Qatar – chiedendo di scaricare i container in questione. Le richieste sono state respinte e la nave è arrivata in Sri Lanka”. Dove si è propagato l’incendio che ha portato all’evacuazione dell’imbarcazione, a una esplosione a bordo e alla drammatica situazione che lo Stato asiatico si trova ad affrontare da giorni.

Nell’area sono state sospese tutte le attività di pesca ed è attualmente vietato il consumo di prodotti ittici. Il timore è che la nave affondi, causando lo sversamento in mare di tonnellate di idrocarburi. Ma la minaccia più immediata per l’ambiente deriva da parte del carico trasportato dalla MV X-Press Pearl.

A bordo della nave, infatti, erano presenti 28 container pieni di granuli di polietilene, uno dei polimeri plastici più usati per il packaging e destinato all’industria degli imballaggi. Otto container sono caduti in mare, liberando enormi quantità di microplastiche che sono già arrivate a ondate sulle spiagge dello Sri Lanka, e hanno devastato chilometri di costa, nonostante l’instancabile lavoro di chi da giorni sta cercando di rimuoverle dalle aree interessate.

Questi granuli, delle dimensioni di una lenticchia, possono essere i prodotti diretti della raffinazione di petrolio e gas fossile e costituiscono la materia prima da cui si ricavano i più comuni oggetti di plastica. Ogni anno vengono disperse nei mari e nell’ambiente fino a 167mila tonnellate di queste piccole particelle e, a causa della loro forma e dimensioni, possono essere scambiate per uova e quindi ingerite dagli organismi marini risalendo così la catena alimentare.

“È probabilmente il più importante inquinamento delle spiagge nella nostra storia”, ha affermato Dharshani Lahandapura, presidente dell’Autorità per la protezione dell’ambiente marino (Mepa), ripreso dall’Ansa. Di sicuro, si tratta dell’ennesimo incidente in mare che minaccia gravemente presente e futuro di una parte preziosa del nostro Pianeta.

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