Pubblichiamo una pagina del diario di Mario Corradetti, ex militare italiano di Montattone (in provincia di Fermo), che fu internato nei lager di Sandbostel e Wietzendorf dopo l’8 settembre 1943. Fu uno delle migliaia di italiani che finirono tra gli “Internati Militari Italiani“, definizione attribuita dalle autorità tedesche ai soldati italiani catturati, rastrellati e deportati in Germania nei giorni successivi alla proclamazione dell’armistizio.
Nel 1985 ha ricevuto il diploma d’onore “al combattente per la libertà d’Italia” come internato non collaborazionista, concesso dal presidente della Repubblica Sandro Pertini. E’ morto il 31 dicembre 1986, a 73 anni. Più volte è stato chiamato nelle scuole a parlare ai ragazzi della terribile esperienza nei lager. Dopo la sua morte, tra i vari riconoscimenti, gli sono state conferite la medaglia d’onore concessa dal presidente Giorgio Napolitano e la Croce al Merito di Guerra.
La pubblicazione di queste pagine del suo diario è possibile su gentile concessione del figlio. “Si è rifiutato di combattere al fianco della Wehrmacht e dei repubblichini – scrive Rossano Corradetti a ilfattoquotidiano.it – Consapevole della scelta disse no, pur sapendo a quali conseguenze andava incontro. Anche gli uomini come mio padre hanno contribuito alla nascita della democrazia e della Repubblica”.
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Il giorno 8 settembre mi trovavo a Larissa, in Grecia. Un giorno decisivo per la mia sorte e per centinaia di altri miei compagni di sventura! Un momento concitato ma non difficile per la mia Scelta. Dopo la cattura da parte della Luftwaffe dissi subito “no” alla richiesta di combattere al fianco della Wehrmacht e dei repubblichini. Dopo varie pressioni dissi ancora “no”, il mio rifiuto da non collaborazionista mi costò caro: fui malmenato e ferito e il giorno 10 settembre fui caricato insieme ad altri compagni su carri bestiame e deportato in vari lager nazisti tra cui Sandbostel X/B (X/B è il nome del campo di prigionia, ndr) e Wietzendorf X/B/Z con il numero di matricola 192792.
Le giornate passate nei lager erano pesanti. Stremato dalla sofferenza, dalla fame, dal freddo invernale vedevo giorno dopo giorno morire i miei compagni per le malattie. Eravamo prigionieri senza diritti. Che orrore! Ho passato momenti terribili e non so nemmeno io come ho fatto a salvarmi. L’internamento come prigionieri comportò la privazione dei diritti della convenzione di Ginevra e la mancanza assoluta della tutela da parte della Croce Rossa Internazionale.
In Bassa Sassonia era molto freddo e umido. Nonostante tutto ero arrivato all’inizio del 1945. Ero malandato, però riuscivo a recuperare. Erano i primi di aprile e il tempo era più mite e clemente. Si parlava molto tra compagni di prigionia. Tra noi c’era l’ex segretario del Partito Comunista Italiano Alessandro Natta, l’attore Gianrico Tedeschi e Giovanni Guareschi. Altri erano meno noti ma ingegnosi e riuscirono a costruire una radio, Radio Caterina, il nome della ragazza di un internato. Con questa radio potevamo avere molte notizie su quello che stava accadendo. Una mattina si vedevano e si sentivano gli aerei volare, erano aerei anglo‐americani. BOMBARDAVANO!!! Mio Dio, morire proprio adesso per mano amica…
Nel campo di Wietzendorf c’era tanta frenesia, era un susseguirsi di voci che affermavano che eravamo vicini alla liberazione. Infatti poco dopo arrivò… Quello della liberazione è stato il giorno più bello che ricordo! L’intenzione dei tedeschi era quella di bruciare il campo e di uccidere tutti i prigionieri. Gli alleati venuti a conoscenza delle loro intenzioni, intimarono loro di non farlo o avrebbero bombardato la sede del comando di Amburgo e Hannover. L’ordine di distruggere il campo non venne eseguito e fummo SALVI! Prima di essere liberati passammo da un lager all’altro.
Fui liberato ad agosto del 1945 e con altri compagni partimmo con i convogli ferroviari. Per tornare a casa avevo a disposizione 60 giorni di viaggio con camion, altri mezzi di fortuna e a piedi. La precedenza per il rientro in Italia fu data ai feriti e agli ammalati gravi. Quando eravamo ormai vicini all’ Italia, io ed i miei compagni sentimmo parlare un italiano ancora non chiaro. Al solo sentire l’accento tedesco mi faceva venire i brividi. Si udirono delle voci concitate: “Siamo in Italia!“. Scendemmo dai vagoni ferroviari. Eravamo nel Brennero e dovevamo arrivare a Bolzano e a Merano.
Appena arrivato a Bolzano chiesi notizie dei miei amici che erano arrivati con i convogli precedenti. Mi dissero che Giuseppe e Riccardo, gli amici con cui avevo condiviso quasi tutta la prigionia, erano stati ricoverati, ma non ce l’avevano fatta. Erano morti in uno degli ospedali della città. Rimasi impietrito e in silenzio! Nei mesi successivi dopo visite ospedaliere, ed interrogatori vari, si ripartì con mezzi di fortuna e a piedi e pensavo soltanto ad arrivare a casa il più presto possibile.
Dopo una lunga odissea ero: LIBERO! LIBERO! LIBERO!
Nella foto in alto il campo di concentramento di Sandbostel. Crediti: Wikipedia/Arnold Plesse