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“L’autodichia della Camera non vale per qualsiasi atto”: il Consiglio di Stato apre una breccia nel diritto speciale del Parlamento

Una società privata ha fatto ricorso contro l'esclusione da una procedura negoziata bandita da Montecitorio. Che ha resistito in giudizio invocando l'autodichia e chiedendo al massimo di rimettere la questione alla Corte Costituzionale. I giudici di Palazzo Spada hanno dato ragione ai privati, piazzando alcuni paletti che limitano il diritto straordinario del Parlamento di essere giudice delle proprie controversie interne

L’autodichia del Parlamento non può valere per qualsiasi atto. Lo scrive il Consiglio di Stato in un sentenza che apre una piccola breccia nella speciale facoltà di autogoverno di cui godono le due Camere. È il caso di sgomberare subito il campo da qualsiasi malinteso: qui i vitalizi o altri possibili privilegi dei parlamentari non c’entrano. Al centro della sentenza di Palazzo Spada, però, c’è una delle tante sfumature che riguardano il diritto straordinario del Parlamento di essere giudice delle proprie controversie interne. Una facoltà alla quale la quinta sezione del Consiglio di Stato, presieduta da Carlo Saltelli, piazza qualche paletto con la sentenza numero 04150/2021. La decisione è del 17 dicembre 2020, ma le motivazioni sono state pubblicate solo il 31 maggio del 2021.

La vicenda della gara della Camera – La controversia sulla quale erano chiamati a decidere i giudici nasce da una procedura negoziata indetta dalla Camera dei deputati per l’affidamento quadriennale del monitoraggio dei contratti di Montecitorio. Partecipa anche la Prs, acronimo di Planning Ricerche e Studi srl, come mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese che annovera anche la Hspi spa. La sua offerta, però, è stata esclusa dall’amministrazione della Camera. Il motivo? Prs aveva proposto un “gruppo di lavoro” in cui il direttore tecnico avrebbe avuto un contratto da lavoratore autonomo. La società, assistita dall’avvocato Massimiliano Brugnoletti, ha fatto ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio facendo notare come nel capitolato di gara non fosse stato prescritto nulla riguardo al rapporto contrattuale che doveva intercorrere tra appaltatore e direttore tecnico. Il Tar, però, ha respinto l’istanza di Prs dando ragione alla Camera.

Montecitorio invoca l’autodichia – La società non si è arresa e ha fatto appello al Consiglio di Stato. Montecitorio ha resistito in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello per difetto di giurisdizione: secondo i legali della Camera il provvedimento impugnato rientra tra gli “atti di amministrazione” che costituiscono oggetto della riserva di autodichia. A decidere di un eventuale ricorso di una società privata su una gara bandida dalla Camera non deve essere né il Tar e neanche il Consiglio di Stato come avviene per tutte le altre pubbliche amministrazioni, ma invece “in via esclusiva” il consiglio di Giurisdizione, l’organo di autodichia della medesima Camera. Per fare un esempio sarebbe come se una ditta, esclusa da un appalto del comune di Milano, per fare ricorso dovesse rivolgersi a un giudice interno allo stesso comune di Milano: l’esito dell’appello sarebbe scontato. In alternativa, scrivono sempre gli avvocati della Camera nell’atto di resistenza davanti i giudici di Palazzo Spada, va rimessa la questione alla Corte Costituzionale.

La sentenza di Palazzo Spada – Il Consiglio di Stato, però, non è d’accordo. “La disposizione del regolamento per la tutela giurisdizionale che attribuisce al Consiglio di giurisdizione della Camera il compito di decidere in primo grado sui ‘ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, deve essere limitato alle controversie che abbiano per oggetto non qualsiasi atto di amministrazione della Camera dei deputati ma esclusivamente quegli atti adottati in una materia in ordine alla quale, all’organo costituzionale, è costituzionalmente riconosciuta una sfera di autonomia normativa“, scrive il giudice estensore Giorgio Manca nella sentenza lunga undici pagine. “Le altre controversie – aggiunge – rientrano nella giurisdizione comune, secondo i criteri di riparto tra le diverse giurisdizioni fissati dalle norme processuali ordinarie”. L’autodichia, insomma, non vale per tutto.

Per gli appalti non vale l’autodichia – Quindi arrivano le conclusioni dei giudici del Consiglio di Stato: “Pertanto – continuano le motivazioni – posto che la materia dell’affidamento a terzi dei contratti di lavori, servizi e forniture – pur involgendo l’acquisizione, da parte dell’amministrazione della Camera, di beni e servizi per lo svolgimento delle sue funzioni – non rientra nella sfera di autonomia normativa costituzionalmente riconosciuta, le relative controversie sono sottratte alla giurisdizione domestica”. Tradotto vuole dire che per appalti e gare Montecitorio si deve comportare come tutte le altre pubbliche amministrazioni. “Da ciò – conclude il giudice – discende inoltre che le norme del Regolamento di Amministrazione e contabilità della Camera dei Deputati (articoli 39 e ss.), dettate in materia di contratti, non essendo espressione della ridetta autonomia normativa costituzionalmente fondata, non giustificano l’attrazione della controversia nell’ambito della cognizione dell’organo di autodichia“. Palazzo Spada ha quindi accolto il ricorso di Prs, annullando l’esclusione della società dalla gara decisa dalla Camera. E aprendo una piccola breccia nella complicata giurisprudenza legata all’autodichia.