Sono in quattro, hanno vent’anni, ventidue al massimo. Per comunicare mostrano un messaggio su una chat di Whatsapp, vogliono sapere se sono arrivati. La scena si svolge nell’atrio di un palazzo di fine ottocento, a due passi dal centro di Trieste, mentre il rumore della pioggia attraversa il portone spalancato su una stradina in salita. “Sono afghani, non hanno ancora deciso se fermarsi o proseguire”, spiega chi li accoglie in quella che è la sede del Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics), onlus che dal 1998 lavora per la tutela di rifugiati e richiedenti asilo nel Friuli Venezia Giulia. Il presidente Gianfranco Schiavone fornisce loro le prime informazioni, spiega l’opportunità di presentare subito domanda di asilo. “Sono arrivati stamattina: prima la Turchia, poi la Grecia, l’inverno in Bosnia e ancora la Croazia, la Slovenia”, racconta, certo che la meta finale non sia l’Italia. “Milano, hanno detto, che poi vuol dire estero: Francia, forse Germania, dove nel 2020 è stato presentato il 25 per cento di tutte le richieste di asilo fatte nell’Unione europea”. L’Italia si è fermata al 5 percento, abbondantemente sotto la Francia, la Spagna, la Grecia che ne riceve il 9 percento. “La percezione del nostro Paese è in costante declino, i migranti che arrivano sono consapevoli che investiamo poco o nulla nell’inclusione sociale”, continua Schiavone, chiarendo che le persone accolte in provincia sono per lo più analfabete. “Chi ha un’istruzione, un titolo di studio o una specializzazione non si ferma, convinto che qui finirà a raccogliere pomodori”.
Ma non è solo una questione di prospettive quella che spinge i migranti ad allontanarsi in fretta dalla provincia di Trieste. O addirittura a evitarla, come testimoniano prefettura e associazioni, che assistono a una diminuzione di arrivi in favore della provincia di Udine. “Facilmente una reazione a quanto successo negli ultimi anni, e in particolare nel 2020”, ragiona Schiavone riferendosi soprattutto alle riammissioni di migranti in Slovenia. È il delta della rotta balcanica che reagisce agli ostacoli e tenta nuove strade, una lotta incessante che fa del confine italo-sloveno la trincea del diritto d’asilo nell’Europa che fatica a trovare una soluzione comune.
“Sull’immigrazione l’Italia è all’anno zero”. Non potrebbe essere più lapidario il giudizio di Gianfranco Schiavone, che a Trieste si dedica all’accoglienza dai tempi della guerra nell’ex Jugoslavia. E aggiunge: “Non si è mai superata la logica dell’emergenza, piuttosto facciamo passi indietro”. Accanto alla Caritas e a un paio di cooperative sociali, il suo Consorzio di Solidarietà gestisce 750 delle 1100 persone oggi presenti nel sistema territoriale di accoglienza della provincia di Trieste. Niente grandi centri da centinaia di persone, ma “accoglienza diffusa, in strutture piccole, per lo più appartamenti sparsi sul territorio”. Un modello virtuoso anche secondo la prefettura e che invece mostra i segni dei decreti sicurezza del primo governo Conte. “Il modello ha retto perché non si è trovato chi erogasse il servizio alle condizioni imposte dalla riforma. In particolare ci siamo opposti alla previsione di un rapporto tra migranti e operatori di cinquanta a uno che avrebbe ridotto il nostro lavoro alla pura sorveglianza”, spiega Schiavone, che a causa dei tagli ha ugualmente visto ridursi di un quarto i dipendenti del Consorzio, col conseguente ridimensionamento dei servizi di assistenza e dei percorsi educativi: dalla consulenza legale alla formazione professionale, all’insegnamento della lingua italiana.
Ma il segno più tangibile i decreti Salvini lo hanno lasciato sul confine, a partire dall’istituzione della “zona di transito e di frontiera” per tutto il territorio della provincia di Trieste e di Gorizia. In parte si tratta del recepimento di nuove regole volute dalla Ue, che per queste zone prevede la possibilità di applicare una procedura accelerata di richiesta d’asilo a quanti provengono da una lista di paesi che l’Unione presume sicuri. Per presentare domanda si hanno appena 48 ore e la Commissione territoriale che dovrà deciderne ha appena una settimana per sentire l’interessato. Non molto per pratiche che riguardano persone per lo più tra i 18 e i 25 anni, spesso analfabete, che necessitano di un interprete in grado di chiarire loro diritti e doveri. E se di recente molti migranti attraversano il confine più a nord, entrando direttamente nella provincia di Udine che non rientra tra le zone di transito e di frontiera, non è un caso.
Ma c’è di più. Con i decreti sicurezza l’Italia ha voluto andare oltre, estendendo la procedura accelerata a quanti “eludono o tentano di eludere” i controlli di frontiera. “A differenza dei confini marittimi, quello terrestre tra Italia e Slovenia è un confine interno all’Unione e alla Convenzione di Schengen, e pertanto privo di controlli formali”, ricorda l’avvocato Anna Brambilla dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi). Insomma, difficile provare che vi sia stata l’intenzione di eludere un controllo se il controllo è assente. “Eppure alcune procedure accelerate sono state avviate e motivate in tal senso”, racconta Schiavone. “Procedure alle quali ci siamo opposti e sulle quali c’è stato un passo indietro da parte della Questura, tanto che ad oggi questa pratica risulta sospesa”. Una sospensione che andrà verificata una volta terminata l’emergenza del Covid, che ha necessariamente dilatato i tempi della burocrazia. E tuttavia una magra consolazione per chi tenta di lasciarsi alle spalle le sofferenze della rotta balcanica e raggiungere il confine italiano.
Secondo dati aggiornati, dopo la contrazione del 2020 il flusso migratorio sta lentamente tornando quello di prima. Gli arrivi più consistenti riguardano cittadini pachistani e afghani. “Una realtà ormai stabilizzata, con numeri costanti che negli ultimi anni non hanno mai oscillato oltre il dieci percento”, spiega a ilfattoquotidiano.it il prefetto di Trieste, Valerio Valenti, che considera adeguate le forze assegnate al territorio. Eppure proprio nel 2020, con arrivi in calo rispetto ai 2500 registrati nel 2019, l’Italia aumenta esponenzialmente il numero dei migranti riammessi in Slovenia dopo essere stati rintracciati dalla polizia italiana.
No, non si chiamano respingimenti, perché le persone vengono consegnate nelle mani di un altro paese che accetta di reintrodurli entro i propri confini. Ma per stessa ammissione del nostro ministero dell’Interno si tratta anche di riammissioni informali, cioè prive di registrazione e indipendenti dall’intenzione delle persone di chiedere protezione in Italia, volontà che va sempre verificata applicando i criteri stabiliti dal Regolamento di Dublino III.
Così questo confine in particolare diventa un banco di prova per l’intera Unione, sul quale il già contestato Patto per le migrazioni proposto dalla Commissione europea per superare Dublino fa i conti con uno strumento ben più concreto e meno ingombrante del diritto comunitario: un accordo bilaterale tra paesi confinanti. Quello siglato tra Italia e Slovenia nel 1996 prevede appunto la possibilità di riammissioni. “Uno strumento da tenere in considerazione, coerente con il diritto nazionale ed europeo”, commenta il prefetto. “È vero, il diritto europeo riconosce la possibilità di far valere accordi bilaterali di riammissione, ma entro certi limiti e non a scapito dei diritti delle persone, a partire da quello di essere informati e dalla necessità che tutto sia messo per iscritto”, spiega l’avvocato Anna Brambilla. Che lancia un’accusa: “Sempre di più gli Stati si accordano per raggiungere obiettivi di fronte ai quali le norme dell’Unione sono considerate troppo garantiste”.
Ma la questione delle riammissioni non va letta solo in punta di diritto. Ciò che l’accordo tra Italia e Slovenia non è tenuto a considerare è l’esistenza di un altro accordo, quello tra sloveni e croati. A dire che quelle sul confine italiano inneschino altre riammissioni, che a catena arrivano fino alla Serbia o alla Bosnia, non sono solo i testimoni diretti, ma anche i numeri. Delle 1300 persone che l’Italia ha consegnato alla Slovenia nel 2020, 1116 sono state affidate alla Croazia nel corso dello stesso anno. Le riammissioni informali risultano momentaneamente sospese, forse in seguito alle denunce di molte associazioni che hanno istruito inchieste giornalistiche e interrogazioni parlamentari, portando all’attenzione dell’opinione pubblica le drammatiche condizioni dei migranti lungo la rotta balcanica e le violenze inflitte soprattutto dalla polizia croata. Un calvario che ha già fatto molte vittime e nondimeno è stato letteralmente azzerato per tanti, compresi quelli riconsegnati agli sloveni. Il futuro è più che incerto. Il prefetto Valenti si augura che si implementino gli accordi tra le forze di polizia dei due paesi confinanti, come quelli sui pattugliamenti congiunti. “Proprio attraverso la collaborazione si migliorano le procedure e il rispetto dei diritti di tutti”, sostiene, auspicando ciò che altri paventano. “È quella la direzione, credo si andrà verso un rafforzamento della collaborazione e di pratiche come i pattugliamenti congiunti di polizie di frontiera, che però non rendono più trasparente la gestione dell’immigrazione sui confini”, è convinta l’avvocato Brambilla. Così a Trieste la vera frontiera da raggiungere sono le banchine dei treni. Il tempo di riposare, di farsi medicare i piedi massacrati dai chilometri dai volontari che presidiano la piazza della stazione. Poi ci si affretta a rimettersi in viaggio, per lasciare una zona dove si è sperimentata una attenuazione dei diritti, e dove il superamento di Dublino promesso dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sembra già cosa fatta.
Diritti
Migranti tra Italia e Slovenia, la frontiera dove l’Ue ha già superato gli Accordi di Dublino. Intanto la rotta balcanica ridisegna il suo corso
Mentre l'Unione europea litiga sul Patto per le migrazioni che promette di ridefinire il diritto d'asilo, la rotta balcanica ridisegna i suoi approdi dopo i casi delle riammissioni in forza dell'accordo tra i due paesi. L'avvocato dell'Asgi Anna Brambilla: "Così gli stati aggirano un diritto europeo considerato troppo garantista"
Sono in quattro, hanno vent’anni, ventidue al massimo. Per comunicare mostrano un messaggio su una chat di Whatsapp, vogliono sapere se sono arrivati. La scena si svolge nell’atrio di un palazzo di fine ottocento, a due passi dal centro di Trieste, mentre il rumore della pioggia attraversa il portone spalancato su una stradina in salita. “Sono afghani, non hanno ancora deciso se fermarsi o proseguire”, spiega chi li accoglie in quella che è la sede del Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics), onlus che dal 1998 lavora per la tutela di rifugiati e richiedenti asilo nel Friuli Venezia Giulia. Il presidente Gianfranco Schiavone fornisce loro le prime informazioni, spiega l’opportunità di presentare subito domanda di asilo. “Sono arrivati stamattina: prima la Turchia, poi la Grecia, l’inverno in Bosnia e ancora la Croazia, la Slovenia”, racconta, certo che la meta finale non sia l’Italia. “Milano, hanno detto, che poi vuol dire estero: Francia, forse Germania, dove nel 2020 è stato presentato il 25 per cento di tutte le richieste di asilo fatte nell’Unione europea”. L’Italia si è fermata al 5 percento, abbondantemente sotto la Francia, la Spagna, la Grecia che ne riceve il 9 percento. “La percezione del nostro Paese è in costante declino, i migranti che arrivano sono consapevoli che investiamo poco o nulla nell’inclusione sociale”, continua Schiavone, chiarendo che le persone accolte in provincia sono per lo più analfabete. “Chi ha un’istruzione, un titolo di studio o una specializzazione non si ferma, convinto che qui finirà a raccogliere pomodori”.
Ma non è solo una questione di prospettive quella che spinge i migranti ad allontanarsi in fretta dalla provincia di Trieste. O addirittura a evitarla, come testimoniano prefettura e associazioni, che assistono a una diminuzione di arrivi in favore della provincia di Udine. “Facilmente una reazione a quanto successo negli ultimi anni, e in particolare nel 2020”, ragiona Schiavone riferendosi soprattutto alle riammissioni di migranti in Slovenia. È il delta della rotta balcanica che reagisce agli ostacoli e tenta nuove strade, una lotta incessante che fa del confine italo-sloveno la trincea del diritto d’asilo nell’Europa che fatica a trovare una soluzione comune.
“Sull’immigrazione l’Italia è all’anno zero”. Non potrebbe essere più lapidario il giudizio di Gianfranco Schiavone, che a Trieste si dedica all’accoglienza dai tempi della guerra nell’ex Jugoslavia. E aggiunge: “Non si è mai superata la logica dell’emergenza, piuttosto facciamo passi indietro”. Accanto alla Caritas e a un paio di cooperative sociali, il suo Consorzio di Solidarietà gestisce 750 delle 1100 persone oggi presenti nel sistema territoriale di accoglienza della provincia di Trieste. Niente grandi centri da centinaia di persone, ma “accoglienza diffusa, in strutture piccole, per lo più appartamenti sparsi sul territorio”. Un modello virtuoso anche secondo la prefettura e che invece mostra i segni dei decreti sicurezza del primo governo Conte. “Il modello ha retto perché non si è trovato chi erogasse il servizio alle condizioni imposte dalla riforma. In particolare ci siamo opposti alla previsione di un rapporto tra migranti e operatori di cinquanta a uno che avrebbe ridotto il nostro lavoro alla pura sorveglianza”, spiega Schiavone, che a causa dei tagli ha ugualmente visto ridursi di un quarto i dipendenti del Consorzio, col conseguente ridimensionamento dei servizi di assistenza e dei percorsi educativi: dalla consulenza legale alla formazione professionale, all’insegnamento della lingua italiana.
Ma il segno più tangibile i decreti Salvini lo hanno lasciato sul confine, a partire dall’istituzione della “zona di transito e di frontiera” per tutto il territorio della provincia di Trieste e di Gorizia. In parte si tratta del recepimento di nuove regole volute dalla Ue, che per queste zone prevede la possibilità di applicare una procedura accelerata di richiesta d’asilo a quanti provengono da una lista di paesi che l’Unione presume sicuri. Per presentare domanda si hanno appena 48 ore e la Commissione territoriale che dovrà deciderne ha appena una settimana per sentire l’interessato. Non molto per pratiche che riguardano persone per lo più tra i 18 e i 25 anni, spesso analfabete, che necessitano di un interprete in grado di chiarire loro diritti e doveri. E se di recente molti migranti attraversano il confine più a nord, entrando direttamente nella provincia di Udine che non rientra tra le zone di transito e di frontiera, non è un caso.
Ma c’è di più. Con i decreti sicurezza l’Italia ha voluto andare oltre, estendendo la procedura accelerata a quanti “eludono o tentano di eludere” i controlli di frontiera. “A differenza dei confini marittimi, quello terrestre tra Italia e Slovenia è un confine interno all’Unione e alla Convenzione di Schengen, e pertanto privo di controlli formali”, ricorda l’avvocato Anna Brambilla dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi). Insomma, difficile provare che vi sia stata l’intenzione di eludere un controllo se il controllo è assente. “Eppure alcune procedure accelerate sono state avviate e motivate in tal senso”, racconta Schiavone. “Procedure alle quali ci siamo opposti e sulle quali c’è stato un passo indietro da parte della Questura, tanto che ad oggi questa pratica risulta sospesa”. Una sospensione che andrà verificata una volta terminata l’emergenza del Covid, che ha necessariamente dilatato i tempi della burocrazia. E tuttavia una magra consolazione per chi tenta di lasciarsi alle spalle le sofferenze della rotta balcanica e raggiungere il confine italiano.
Secondo dati aggiornati, dopo la contrazione del 2020 il flusso migratorio sta lentamente tornando quello di prima. Gli arrivi più consistenti riguardano cittadini pachistani e afghani. “Una realtà ormai stabilizzata, con numeri costanti che negli ultimi anni non hanno mai oscillato oltre il dieci percento”, spiega a ilfattoquotidiano.it il prefetto di Trieste, Valerio Valenti, che considera adeguate le forze assegnate al territorio. Eppure proprio nel 2020, con arrivi in calo rispetto ai 2500 registrati nel 2019, l’Italia aumenta esponenzialmente il numero dei migranti riammessi in Slovenia dopo essere stati rintracciati dalla polizia italiana.
No, non si chiamano respingimenti, perché le persone vengono consegnate nelle mani di un altro paese che accetta di reintrodurli entro i propri confini. Ma per stessa ammissione del nostro ministero dell’Interno si tratta anche di riammissioni informali, cioè prive di registrazione e indipendenti dall’intenzione delle persone di chiedere protezione in Italia, volontà che va sempre verificata applicando i criteri stabiliti dal Regolamento di Dublino III.
Così questo confine in particolare diventa un banco di prova per l’intera Unione, sul quale il già contestato Patto per le migrazioni proposto dalla Commissione europea per superare Dublino fa i conti con uno strumento ben più concreto e meno ingombrante del diritto comunitario: un accordo bilaterale tra paesi confinanti. Quello siglato tra Italia e Slovenia nel 1996 prevede appunto la possibilità di riammissioni. “Uno strumento da tenere in considerazione, coerente con il diritto nazionale ed europeo”, commenta il prefetto. “È vero, il diritto europeo riconosce la possibilità di far valere accordi bilaterali di riammissione, ma entro certi limiti e non a scapito dei diritti delle persone, a partire da quello di essere informati e dalla necessità che tutto sia messo per iscritto”, spiega l’avvocato Anna Brambilla. Che lancia un’accusa: “Sempre di più gli Stati si accordano per raggiungere obiettivi di fronte ai quali le norme dell’Unione sono considerate troppo garantiste”.
Ma la questione delle riammissioni non va letta solo in punta di diritto. Ciò che l’accordo tra Italia e Slovenia non è tenuto a considerare è l’esistenza di un altro accordo, quello tra sloveni e croati. A dire che quelle sul confine italiano inneschino altre riammissioni, che a catena arrivano fino alla Serbia o alla Bosnia, non sono solo i testimoni diretti, ma anche i numeri. Delle 1300 persone che l’Italia ha consegnato alla Slovenia nel 2020, 1116 sono state affidate alla Croazia nel corso dello stesso anno. Le riammissioni informali risultano momentaneamente sospese, forse in seguito alle denunce di molte associazioni che hanno istruito inchieste giornalistiche e interrogazioni parlamentari, portando all’attenzione dell’opinione pubblica le drammatiche condizioni dei migranti lungo la rotta balcanica e le violenze inflitte soprattutto dalla polizia croata. Un calvario che ha già fatto molte vittime e nondimeno è stato letteralmente azzerato per tanti, compresi quelli riconsegnati agli sloveni. Il futuro è più che incerto. Il prefetto Valenti si augura che si implementino gli accordi tra le forze di polizia dei due paesi confinanti, come quelli sui pattugliamenti congiunti. “Proprio attraverso la collaborazione si migliorano le procedure e il rispetto dei diritti di tutti”, sostiene, auspicando ciò che altri paventano. “È quella la direzione, credo si andrà verso un rafforzamento della collaborazione e di pratiche come i pattugliamenti congiunti di polizie di frontiera, che però non rendono più trasparente la gestione dell’immigrazione sui confini”, è convinta l’avvocato Brambilla. Così a Trieste la vera frontiera da raggiungere sono le banchine dei treni. Il tempo di riposare, di farsi medicare i piedi massacrati dai chilometri dai volontari che presidiano la piazza della stazione. Poi ci si affretta a rimettersi in viaggio, per lasciare una zona dove si è sperimentata una attenuazione dei diritti, e dove il superamento di Dublino promesso dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sembra già cosa fatta.
Articolo Precedente
Sicilia, disse: “il numero di morti spalmiamolo un poco”. L’assessore Razza rinominato da Musumeci a tre mesi dalle dimissioni
Articolo Successivo
Firma digitale per i referendum, l’associazione Luca Coscioni incontra il ministro Colao: “Avviato dialogo per arrivare a una soluzione a luglio”
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Mondo
La Grecia in rivolta a due anni dalla strage del treno: un milione in piazza, molotov davanti al Parlamento. 40 feriti. Perché il disastro imbarazza anche l’Italia
Economia & Lobby
Bollette, bonus di tre mesi per famiglie e imprese contro il caro energia. Giorgetti: “Non è a debito”
Mondo
Usa: ora i generali dell’esercito possono attaccare anche oltre ‘campi di battaglia convenzionali’
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - "Oggi il governo ha stanziato 3 miliardi di euro per fronteggiare il caro bollette". Così la premier Giorgia Meloni, illustrando in un videomessaggio i contenuti del decreto approvato oggi dal Cdm.
"Parliamo di circa 1 miliardo 600 milioni di euro per le famiglie e di 1 miliardo 400 milioni per le imprese. Con questo intervento, le famiglie con un reddito Isee fino a 25mila euro, quindi la stragrande maggioranza, potranno contare nel prossimo trimestre su un sostegno di circa 200 euro se ne faranno richiesta", ha aggiunto la presidente del Consiglio.
"È un contributo - ha sottolineato Meloni - che salirà a ad oltre 500 euro per chi ha già i requisiti per il bonus sociale, quindi i nuclei con un Isee fino a 9.530 euro. Inoltre abbiamo prorogato di due anni l'obbligo per i vulnerabili di passare al mercato libero".
Le misure contenute nel decreto legge bollette sono "ripartite tra 1,6 miliardi per le famiglie e 1,4 miliardi sul sistema imprese'', ha sottolineato il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, il quale - confermando il bonus da 200 euro a famiglia, ha spiegato che il provvedimento ''si compone di due parti, una contingente, sulla situazione di eccezionale tensione dei prezzi dell'energia e quindi sulle bollette, e una di interventi strutturali, più di sistema''.
Con il decreto bollette "andiamo incontro anche alle imprese, in particolare tagliamo gli oneri di sistema per le piccole e medie imprese, assicuriamo così una riduzione delle prossime bollette che si aggira intorno al 20%", ha sottolineato Meloni.
Con il dl varato dal governo, "avremo finalmente delle bollette chiare grazie all'obbligo di trasparenza che imponiamo ai gestori. Oltre a un certo prezzo dell'energia, lo Stato ha deciso che rinuncerà all'Iva e destinerà l'eccesso di Iva alla riduzione delle bollette. Abbiamo inoltre costruito un meccanismo che ci consentirà di utilizzare in base all'andamento futuro dei prezzi dell'energia anche ulteriori 3 miliardi 500 milioni di euro del Fondo Sociale per il Clima", ha spiegato ancora la premier.
Il decreto legge bollette prevede ''la definizione delle condizioni tipo, ovvero contratti tipo del mercato libero, che oggi vede un fiorire di offerte, le più diverse e incomprensibili onestamente per quanto riguarda il consumatore'', afferma ancora Giorgetti. Una misura che viene messa in campo ''nella consapevolezza che la perfetta concorrenza c'è quando il consumatore è a conoscenza di tutti gli elementi per decidere''. Il ministro pensa che la ''definizione di un contratto tipo su cui far maturare il miglior prezzo possibile, potrebbe favorire il maturare di un prezzo che effettivamente risponde ai criteri della libera concorrenza''.
Nel decreto legge bollette ''ci sono misure importanti come il rinvio di 2 anni del passaggio al mercato libero dei clienti vulnerabili e micro imprese vulnerabili'', ha detto ancora il ministro dell'Economia. Nel provvedimento c'è inoltre ''un meccanismo, che riprende quello esistente per i carburanti''. In caso di aumento del gettito iva, relativamente al prezzo della componente gas elettricità superiore al 20% rispetto a quello previsto nel documento di programmazione economica, questo "affluirà in un fondo destinato ai vulnerabili''.
Roma, 28 feb (Adnkronos) - "Oggi Giorgia Meloni, per sfuggire alle domande sulle sue bugie, invece di partecipare a una conferenza stampa – come avviene in qualsiasi paese democratico, dove il capo di governo risponde ai giornalisti – ha inviato un video, proprio come si fa in Corea del Nord. Mentre Pichetto Fratin e Giorgetti illustravano i decreti in conferenza stampa, arrivava il video di Meloni che si trovava a Palazzo Chigi. Allucinante". Lo dice Angelo Bonelli, deputato di AVS e co-portavoce di Europa Verde.
"Nel suo intervento ha affermato, mentendo, che il nucleare garantirà energia a basso costo. Falso! Oggi il nucleare costa 170 €/MWh, molto più di quanto paghiamo attualmente per l’energia elettrica e molto più delle rinnovabili. Ha poi sostenuto che, con il decreto bollette, il prezzo dell’energia per le famiglie diminuirà. Falso! A pagare saranno i cittadini, non le società energetiche che hanno realizzato profitti per decine di miliardi. Inoltre, il governo si affida alla speranza che nei prossimi mesi l’energia cali. Meloni si affida alla speranza. Ecco da chi è governata l’Italia: da una mentitrice seriale”, conclude.
Roma, 28 feb (Adnkronos) - "Tre miliardi di euro messi con tre mesi di ritardo. Speriamo che siano sufficienti. Nel frattempo la Meloni scappa anche dalle conferenze stampa, non solo dal Parlamento. Ormai parla solo attraverso video registrati, è diventata allergica alle domande. Doveva essere una lady di ferro, è sempre più “l’omino di burro” di Pinocchio". Lo scrive Matteo Renzi sui social.
Roma, 28 feb. -(Adnkronos) - "Oggi sono state presentate attività e obiettivi, il governo non può che essere accanto. Per esempio, nella parte dei fondi Pnrr per quanto riguarda i porti verdi” la comunità portuale ha “presentato 6 progetti e hanno già ottenuto oltre 8 milioni di euro”. È quanto affermato dal vice ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Vannia Gava, all’evento ‘Sblocchiamo il futuro’ organizzato da L’AdSP veneta e la Venezia Port Community.
L’obiettivo primario dell’incontro è stato approfondire e condividere i progetti e gli investimenti che mirano a rafforzare le prospettive di sviluppo sostenibile per gli scali lagunari, ragionando anche sulle modalità più efficaci, sostenibili e tempestive per superare gli ostacoli all’orizzonte per la portualità, una grande risorsa per il Veneto, per il Nord Est e per l’Italia.
“Anche per tutta la parte di autorizzazioni ambientali - riprende il vice ministro - stiamo facendo un grosso lavoro al ministero per quanto riguarda lo snellimento per ottenere le autorizzazioni e anche una serie di decreti che possono essere utili per quanto riguarda la parte dei dragaggi”, le sue parole.
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - "Il provvedimento sulle bollette è debole e non strutturale. Il problema rimane quello delle rinnovabili iperincentivate che vendono anche quando il loro apporto è inutile, al prezzo del gas". Così Carlo Calenda sui social.
"Una follia in particolare su idroelettrico che arricchisce le imprese del settore a spese dei cittadini. Avevamo fatto una proposta chiara ma il governo non ha avuto il coraggio di attuarla. Molto positivo invece il primo passo fatto per il ritorno al nucleare, una battaglia che Azione ha condotto con forza dalla sua nascita".
Palermo, 28 feb. (Adnkronos) - "La politica di Trump di dazi mi preoccupa. Non mi sono mai pronunciato sino adesso, ma è chiaro che parlo anche da ex presidente del Senato. Sulla politica internazionale non mi compete esprimermi, potrei dire tanto ma mi taccio. Per quanto riguarda, invece, quella economica siamo preoccupati come credo lo siano tutti coloro che hanno a cuore l'andamento dell'economia italiana". Così il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, a margine della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario della Corte dei Conti.
"Le politiche protezionistiche non hanno mai risolto le tematiche economiche di un Paese, anche perché determinano controreazioni, dazi contro dazi - ha aggiunto -. Ho letto oggi sulla stampa che le quotazioni delle azioni di Trump e anche di Musk crollano e questa è una prima conseguenza. Mi auguro e sono certo che la reazione dell'Europa sarà univoca, ferma e dimostri una volta tanto di essere un'Europa anche dei popoli, non soltanto della moneta".
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - La segretaria del Pd, Elly Schlein, risponderà domani a Repubblica sulla proposta, lanciata sul quotidiano da Michele Serra, per 'Una piazza per l'Europa'. Si apprende da fonti del Nazareno, interpellate sull'iniziativa.