Varie sono le similitudini esistenti tra due leader politici, da molti considerati criminali, che negli ultimi mesi hanno dato il peggio di sé, seminando morte e distruzione, rispettivamente, in Palestina e in Colombia. Mi riferisco ovviamente a Benjamin Netanyahu e Álvaro Uribe che, per finalità di ordine strettamente personale e privato, hanno determinato la morte, nell’ultimo mese, di centinaia di persone.

In effetti, un novello Plutarco che si volesse dedicare a scrivere alcune Vite parallele di questo inquietante inizio del terzo millennio potrebbe trovare tra loro vari elementi in comune. Potremmo intanto identificare un intento, presente indubbiamente in entrambi, di sfuggire alla giustizia penale dei rispettivi Paesi. Netanyahu per atti di corruzione da tempo nel mirino della magistratura israeliana. Uribe per aver costruito e alimentato un’organizzazione criminale diffusa, dedita allo sterminio dell’opposizione e al narcotraffico, come accertato da vari giudici colombiani che si sono avvalsi di varie e concordanti testimonianze di pentiti per incriminarlo, fino a fargli trascorrere, sia pure per un brevissimo lasso di tempo, un periodo di reclusione nelle patrie galere.

Entrambi restano abbarbicati al potere che costituisce per loro l’unica reale garanzia di impunità. Netanyahu sta facendo fuoco e fiamme per impedire la nascita di un governo basato su di una coalizione peraltro alquanto fragile ed eterogenea, che minaccia di estrometterlo dal ruolo che occupa ormai da troppi anni. Molto fondati sono i sospetti, espressi dai più attenti commentatori della vita politica israeliana, che il recente massacro che ha fatto oltre 300 vittime tra la popolazione a Gaza sia stato pianificato a tavolino dallo stesso Netanyahu, a partire dal tentativo di espellere con la forza i residenti palestinesi di un quartiere di Gerusalemme che ha dato inizio allo scontro, esasperando il latente razzismo di parte della popolazione israeliana e producendo veri e propri pogrom contro la stessa popolazione cosiddetta arabo-israeliana, formata anch’essa da cittadini, sia pure di serie B, di Israele. In tal modo Netanyahu avrebbe voluto impedire la nascita della suddetta coalizione che ha al suo interno anche settori politici arabi ed islamici.

Uribe, che continua a costituire il vero dominus della destra colombiana al governo, dato che il presidente de jure Ivan Duque gli obbedisce in tutto e per tutto, ha spinto a fondo il pedale della repressione più brutale nei confronti del movimento di massa che si sta sviluppando con forza per porre fine al regime oligarchico che vige da sempre nel Paese. Con lo scopo, anche qui, non solo di sottrarsi ai procedimenti giudiziari a suo carico, ma anche di impedire la nascita di una possibile alternativa, con l’avvento della sinistra al potere, dopo che le Farc, rinunciando alla lotta armata e pagando tale scelta coraggiosa con l’assassinio di centinaia dei loro componenti, hanno aperto una nuova fase della vita politica colombiana.

Risalendo dalle cronache giudiziarie a un piano di carattere più propriamente storico, possiamo quindi affermare che Netanyahu ed Uribe hanno in comune anche un’altra caratteristica, e che cioè sono esponenti emblematici di regimi che si basano sull’esclusione della maggioranza delle rispettive popolazioni.

Ovviamente ci sono anche delle differenze: nel caso di Israele/Palestina, si tratta dei milioni di cittadini dei territori occupati, degli arabo-israeliani e anche del proletariato di professione ebraica che costituisce la maggioranza della popolazione israeliana – in buona parte, tuttora, purtroppo abbindolato dalle ingannevoli narrazioni di stampo fondamentalista, nazionalista e razzista incarnate da Netanyahu e non solo da lui. Nel caso della Colombia si tratta della stragrande maggioranza di una popolazione oggi in balia della fame, del Covid e dello strapotere della polizia, che agisce di concerto con le gang di narcotrafficanti e paramilitari e coi cittadini “bene” che si armano e uccidono per difendere i loro privilegi.

Ma unitario, a ben vedere, è per me lo spirito criminale dell’uno e dell’altro, così come hanno in comune la forte amicizia con Donald Trump, mentre Joe Biden appare oggi, su questo come su altri piani, fortemente indeterminato e perplesso, e mentre settori significativi del Partito democratico, guidati da Bernie Sanders e da Alexandria Ocasio-Cortez, si pongono con sempre maggiore forza e coerenza dalla parte delle vittime e della giustizia.

In conclusione occorre augurarsi che questi due figuri, che hanno già fatto troppe vittime e troppi danni, siano messi definitivamente in condizione di non nuocere. Ovviamente il ruolo principale da svolgere al riguardo spetta in primo luogo ai rispettivi popoli, e cioè alle maggioranze escluse, discriminate ed oppresse cui si è fatto ora riferimento. Ma un ruolo importante potrebbe spettare a giudici che sappiano essere indipendenti ed esercitare il loro ruolo senza guardare in faccia a nessuno, che si tratti delle magistrature nazionali o della Corte penale internazionale, che viene assumendo un’importanza sempre maggiore a fronte dei crimini orrendi che continuano ad essere consumati in troppe parti del mondo.

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