Ci sono persone che incontri nella vita ma non ricordi quando le hai incrociate per la prima volta perché hai la sensazione che ci siano sempre state nella tua esistenza: Franco D’Aniello, autore di “E alla meta arriviamo cantando. Le storie, i viaggi, la musica dei Modena City Ramblers” (La Nave di Teseo) è una di queste. Flautista della band nato trent’anni fa, emiliano da una vita, con un piede in pianura e l’altro nel mondo, è riuscito con maestria a raccontare in poco più di 270 pagine la storia di un gruppo musicale che si è intrecciato con l’esistenza di chi negli anni Novanta aveva venti, trent’anni. I “Modena City Ramblers” hanno scelto di accompagnare gli italiani a comprendere quest’ultimi decenni, attraverso la musica, con canzoni incarnate nelle vicende che hanno cambiato il nostro Paese.
E’ Franco a raccontarci come fin dall’inizio, la band abbia deciso di non essere tra i tanti ma di schierarsi: “Fino a poco prima di salire sul palco (ndr in piazza Maggiore a Bologna, il 7 giugno del 1992) ci fu una discussione, non la prima e nemmeno l’ultima come nelle più classiche riunioni di un politburo sovietico, sul suonare o non suonare “Bella Ciao”. Sarebbe stata la prima volta e alcuni non la ritenevano ancora pronta, non arrangiata abbastanza, sapevano giusto il numero delle strofe, strumentale si o no, boh, forse. Fatto sta che vinse la mozione del sì, io ero tra quelli, o la va o la spacca, ci decidemmo. (…). Da allora “Bella Ciao” non è più uscita dalla nostra scaletta”.
Dall’Italia al mondo. Le pagine scritte dal flautista dei “Modena” sono una sorta di guida, un testo da portare in viaggio quasi una sorta di libro d’avventure reali. Franco D’Aniello ci porta a Cuba: “Plaza de la Revolucion. Dicembre 1997. Suoniamo davanti a miglia di cubani che ci guardano abbastanza esterrefatti, o magari solo un po’ attoniti, loro sono abituati a ballare, ma in modo ondulatorio sensuale, noi suoniamo con ritmi e sonorità irlandesi”.
Dalla patria del Che Guevara alla Bolivia dove la band è stata invitata proprio per il trentennale della morte di Ernesto. In America Latina, Franco e gli altri, ci tornano nel 2003, in Chiapas e in Guatemala. Il “viaggio” letterario di Franco ci porta anche nel Saharawi: “Il concerto era stato ancora una volta bello con il nostro agente a sedere davanti alla cassa della batteria per tenerla ferma, dato che il palco era di cemento e i piedini appuntiti non si piantavano e facevano scivolare la batteria a ogni colpo di Robby”.
Tappe da un continente all’altro che i “Modena City Ramblers” non fanno solo per cantare ma per conoscere: “Partiamo dal deserto – scrive D’Aniello – con la consapevolezza che sarà ancora una battaglia lunga, che i saharawi dovranno resistere ancora, che quei bambini che hanno ballato e giocato diventeranno grandi e forse invecchieranno nelle stesse tende dei nonni”. Il gruppo musicale, forse senza neanche accorgersi, diventa ambasciatore di pace, di giustizia, di uguaglianza sociale: incontrano i ragazzi di Miloud in Romania; vanno in Palestina dove suonano a Ramallah; in Sudafrica dove nasce “Ebano” una delle canzoni “più amate e richieste dal pubblico”, dice Franco.
Ma come ogni viaggio, anche queste pagine, raccontano di uomini e donne incontrati in questi trent’anni con i quali son nati rapporti d’amicizia: Paolo Rossi, don Luigi Ciotti, Rita Borsellino, Bob Geldolf, Francesco Guccini, Luis Sepùlveda e tanti altri. Quando si arriva all’ultima pagina del libro, spiace, proprio come quando si è arrivati all’ultimo giorno di un viaggio, magari fatto come piace ai “Modena City Ramblers”.