Il predestinato tra i pali doveva per forza essere un simbolo rossonero: era già deciso. Ma Mino Raiola conosce bene gemme e dipinti preziosi, fa una stima, Gigio vale oro. E contratta, sempre al rialzo. Il portiere diventa Dollarumma, il Diavolo prima accetta di vendere l'anima (addirittura assoldando il fratello del campione), poi mostra le corna: il predestinato è scaricato. La sua carriera proseguirà altrove, la bandiera è ammainata per sempre
La storia è stata forzatamente trasformata in favola qualche anno fa. Più per volontà degli autori che dei protagonisti. D’altra parte l’incipit si prestava particolarmente alla narrazione e sprecarlo sarebbe stato un vero peccato. C’era una volta un ragazzino di sedici anni e otto mesi che era stato spedito dal suo allenatore a difendere la porta del Diavolo. Tutto era successo in in una anonima domenica pomeriggio dell’ottobre 2015. Sinisa Mihajlovic si era avvicinato a Gianluigi Donnarumma da Castellammare di Stabia e gli aveva ordinato di infilarsi i guanti. Avrebbe giocato titolare. Contro il Sassuolo, poi contro le altre. Il ragazzino aveva annuito, aveva obbedito, aveva parato. Non tutto, a dire la verità. Il gol del momentaneo pareggio di Berardi era nato anche da una sua ingenuità. Niente che l’esperienza non avrebbe potuto cancellare. Niente che il gol vittoria di Luiz Adriano non avrebbe fatto dimenticare.
In quel pomeriggio Donnarumma ha smesso di essere persona ed è diventato personaggio. Non ha fatto neanche in tempo ad abituarsi al numero che portava sulle spalle che si è visto appiccicare addosso un’etichetta. Quella di fenomeno in divenire. Ma soprattutto quella di sentimento collettivo, di simbolo a tutti i costi. La fabulazione non ammetteva deroghe. Per nessun motivo al mondo. Perché la sua storia era acqua fresca per una certa narrazione sportiva rimasta con la gola secca per troppo tempo. Così Donnarumma è diventato un ragazzo moderno raccontato solo attraverso arcaismi, la sua storia è stata copiata con la carta carbone da un vocabolario estinto, fatto di termini fumosi come amore, fedeltà, eternità. Una partita dopo l’altra, un record di precocità dopo l’altro, il portiere è diventato proiezione dei desideri e delle voglie altrui: bandiera rossonera suo malgrado prima, miglior portiere al mondo per esigenze narrative poi. Il suo nome è stato segato in Gigio per rendere più familiare la sua convivenza con Gigi, per eliminare in partenza qualsiasi tassa di successione sull’eredità azzurra. C’era una dettaglio che rendeva la sua storia particolarmente appetibile. Due anni prima Donnarumma aveva messo un piede in casa Inter. Poi Adriano Galliani gli aveva citofonato e lo aveva convinto a cambiare colori. Il rossonero si era sovrapposto al nerazzurro.
L’epilogo sembrava coerente con l’inizio, con una fanciullezza passata a tifare per quel Milan che suo fratello aveva soltanto sfiorato. Solo che questo nodo è diventato sempre più stretto. Pochi altri calciatori sono stati raccontati così in funzione dell’ambiente circostante. Soprattutto a quell’età. Il desiderio diffuso di vederlo andare avanti con la maglia del Milan ha fagocitato tutto il resto, è diventato l’elemento cardine della faccenda. Gigio è stato trasformato in un supereroe dal costume rosso e dal mantello nero, quello con il Diavolo ha assunto le sembianze di un matrimonio programmato con lo sposo assediato da dubbi inconfidabili. Una passione imposta che ha portato a risultati grotteschi. Ennio Flaiano diceva che “in amore gli scritti volano e le parole restano”. Ed è vero. Perché l’inchiostro nero sulla firma dei suoi contratti è stato sempre sbiadito da una pioggia di dichiarazioni. La prima arriva esattamente un mese dopo il suo esordio in campionato. A pronunciarla è Mino Raiola, il suo procuratore, uno che ama accostare un quadro famoso a ogni suo calciatore. “È già un piccolo campione, ma potrà diventare un grande campione – dice – lo paragono a un Modigliani e vale già 170 milioni”. Sembra una boutade, ma è una frase che introduce il concetto di contabilità, che sottintende che tutto avrà un prezzo. In un anno e mezzo Gigio alterna molte parate incredibili a poche papere macroscopiche.
Si prende la Nazionale. Alza al cielo la Supercoppa, l’unico trofeo finito fin qui a prendere polvere nella sua bacheca. I problemi iniziano nel 2017. A gennaio Raiola lancia la bomba. “Donnarumma merita una grande squadra”, dice. E visto che il contratto del portiere scade a giugno 2018, quelle parole annunciano un pericolo. Un mese dopo il Milan perde in campionato contro la Juventus. È una sconfitta che fa male. Soprattutto perché arriva grazie a un rigore all’ultimo respiro. Gigio è infuriato e ferito, si guarda intorno, prende lo scudetto del Milan sulla sua maglia e lo porta alle labbra. È un bacio che sembra mettere fine alle storie sul suo futuro. Almeno in apparenza. Ad aprile il club rossonero passa in mani cinesi. Il nuovo ds Mirabelli assicura: “Gigio ha detto di voler rimanere”. In quel momento Donnarumma e Raiola si trasformano nel poliziotto buono e nel poliziotto cattivo dei film americani. E centrano il loro obiettivo. “Su di lui ci sono 11 club”, dice Mino. “Sono molto legato ai rossoneri”, afferma Gigio. A giugno qualcosa cambia. Fassone si presenta davanti alle telecamere e dice: “Abbiamo finito l’incontro con il procuratore di Gigio che ci ha comunicato la volontà del giocatore di non rinnovare”. Da quel momento in poi la commedia degli equivoci lascia spazio al cinepanettone.
A giugno il portiere gioca l’Europeo Under 21. Nella prima partita gli avversari sono i danesi. Ma anche i fantasmi. All’improvviso dagli spalti piovono banconote. Sono dollari finti lanciati dai tifosi che poi espongono a corredo del loro gesto situazionista lo striscione “Dollarumma”. Gigio vacilla. Si sente ferito. Grazie anche all’intercessione di Montella ricuce lo strappo. Almeno in apparenza. Durante l’Europeo il portiere lancia un Tweet particolare. “Donnarumma – Raiola. Ieri, oggi e domani”, cinguetta. È una frase che fa divampare le polemiche. Sui giornali, sulle televisioni, sui social. Così dopo qualche ora arriva il “contrordine compagni”. In un nuovo status il portiere annuncia l’incontro con la società dopo l’Europeo. Il sospiro di sollievo collettivo di stampa e tifosi dura poco. In serata ecco il plot twist. Perché poco dopo Gigio oscura i profili social parlando di “hackeraggio” dell’account. A luglio firma il rinnovo. Il contratto fa discutere. Più per l’ingaggio del fratello Antonio che per i 6 milioni all’anno fino al 2021. Resta l’ultimo contratto firmato da Gigio. Seguono più di 200 partite con il Milan, le lacrime a Bergamo dopo il 5-0 incassato dall’Atalanta nel 2019, il sogno scudetto andato in frantumi a gennaio. Nell’ultima stagione Gigio offre un ottimo rendimento, poi cala nel finale. Insieme alla squadra, in prossimità della fine del suo contratto. Nessuno sa ancora che si tratta del suo ultimo ballo. La società gli propone un accordo da 8 milioni l’anno. Il portiere e Mino tornano a vestire i panni di Starsky & Hutch. Ne chiedono 10. Ma già sanno quale sarà la risposta. Il Diavolo è come lo stato cantato da De André: “Si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”.
Maldini mette fine alle voci. Il 30 giugno sarà addio. L’addio di Gigio conferma che aveva ragione Andrea Pazienza quando diceva che “Amore è tutto ciò che si può ancora tradire”. Intanto vengono a galla email, si inseguono voci. Si dice che la Juventus potrebbe ingaggiarlo con uno stipendio più basso rispetto a quello richiesto al Milan. Si urla al tradimento. Si cambia etichetta. Non più bandiera, ma mercenario. Un’altra parola arcaica usata per spiegare un presente in continuo movimento. Il futuro di Donnarumma però è ancora un mistero. La Juventus ha rinnovato il contratto a Szczesny un anno fa. A sette milioni netti a stagione. Dovrebbe cedere uno degli estremi difensori dal rendimento più lineare per fare spazio a Gigio. Niente di strano se non fosse per un unico dettaglio: la pandemia ha svuotato le casse societarie bianconere. E ogni maxioperazione deve essere ponderata fino all’ultimo centesimo. Anche il PSG sembra essersi fatto avanti. Anche perché nella sua raccolta di figurine che dovrebbe portare alla Champions manca quella del grande portiere. Con buona pace di Keylor Navas, che di coppe dalle orecchie ne ha vinte tre ma che è imprigionato nel ruolo di underdog. Le altre grandi sono apposto così, al momento. Nessuno sembra davvero avere bisogno di quello che è stato etichettato il portiere più forte del mondo. O almeno nessuno sembra poterselo permettere. La speranza ora è che Gigio trovi posto prima dell’inizio degli Europei. Perché ha bisogno di serenità. E ora il rischio è che la sua turbolenta storia personale si ripercuota sulla storia collettiva. Almeno quella calcistica.