L'ULTIMO COMPAGNO - 4/5
Capita raramente, quando si tratta di una biografia, di riuscire a percepire il percorso fisico di avvicinamento, la vicinanza respirante, l’implicita curiosità, dell’autore rispetto al soggetto raccontato. Concetto Vecchio, quirinalista de La Repubblica, ne L’Ultimo compagno (Chiarelettere), ovvero la tumultuosa vita, malgré tout, di Emanuele Macaluso, storico componente del Partito Comunista Italiano, direttore de L’Unità in pieni anni ottanta, vicinissimo a Togliatti, comunista siculo della prima ora nella Sicilia strabordante fascisti e gabellotti mafiosi degli anni quaranta, c’è riuscito come nemmeno le passeggiate al Campo di Marte o Oliver Stone con Fidel Castro. Trattasi infatti di opera apparentemente semplice (raccogliere le parole dell’intervistato) che, ovviamente, se avesse seguito la formuletta standard dell’ordine temporale sarebbe finita nel totale e querulo anonimato da memoriale agiografico. Invece ecco il disvelarsi graduale, il gocciolare rinfrescante e copioso degli istanti di vita vissuta da un politico del Novecento. Ancor meglio, Vecchio in questo suo approssimarsi al corpo e al passato dell’uomo che vuole riscoprire nei dettagli, cerca, ammonticchia, scova l’irregolarità del singolo di fronte alle regole non scritte dei potenti e del potere nella storia. Arrestato per adulterio, in prima linea nelle occupazioni delle terre da parte dei contadini, a testa alta durante i comizi in cui gli sgherri dei notabili del luogo lanciavano bombe a mano e mitragliavano, poi ancora quando scoppia il ’68 padre comunista ortodosso dei propri figli ribelli, seduttore e conquistatore con le amatissime fidanzate e mogli, robusto e impenetrabile dirigente migliorista, Macaluso è l’uomo che ha vissuto “tempi durissimi” guarendo dalla tubercolosi, scansando la guerra, vivendo i suoi ultimi anni (è morto nel 2021) senza nemmeno un computer sul comodino e la mascherina sulla bocca mentre imperversava il lockdown. Seguendo più la traccia poetica del memoir, Vecchio raggiunge una sorta di sospesa perfezione del ricordo, di intonsa osservazione dell’agone politico italiano dello scontro tra social-comunismo rivoluzionario e status quo clericofascista, con una grazia letteraria inaspettata e un rispetto umano sincero. Macaluso è il prisma dentro al quale, una volta in più, e con etica da uomo perbene, rivediamo il film dell’Italia che ci ha resi (almeno fino ad una ventina d’anni fa), un paese economicamente emancipatorio e dignitoso verso chi stava peggio, perfino un poco più di sinistra di come è stato sempre dipinto. Voto (“miiii”, con la mano che rotea all’indietro oltre le spalle): 8