Nei giorni scorsi molti giornali hanno riportato la condanna penale di un padre per maltrattamenti verso una figlia anoressica. In realtà, dalla descrizione giornalistica, alla base dei comportamenti paterni parrebbe emergere una sottovalutazione, incomprensione e negazione della patologia della ragazza. Addirittura il condannato verrebbe additato come colpevole della malattia della ragazza, che avrebbe deposto: “Temevo di perdere l’affetto di mio padre se fossi cresciuta, se non fossi più stata la sua piccolina”.

L’anoressia mentale è una patologia che risente del contesto sociale in cui è inserita. Se agli inizi del Novecento si avevano pochi casi, verso la fine del secolo si è arrivati a una diffusione impressionante della malattia con percentuali che rasentavano l’1% della popolazione. Attualmente pare meno diffusa, mentre tendono a prendere piede i comportamenti bulimici (abbuffate con seguente vomito) o di binge eating (mangiate compulsive con sensi di colpa successivi). Molti studiosi hanno cercato di analizzare il fenomeno riscontrando pattern (modelli mentali e schemi comportamentali) ripetitivi nelle famiglie di origine di queste pazienti (nell’oltre il 95% dei casi si tratta di ragazze).

Dall’individuare caratteristiche simili nelle famiglie di origine ad estrapolare che, quindi, i genitori coi loro comportamenti sono colpevoli della patologia della figlia ce ne passa. Il padre e la madre sono inconsapevoli della loro eventuale disfunzionalità, frutto – se si ha la possibilità di effettuare una lettura dei sistemi dinamici familiari – di un vissuto nella generazione dei nonni a loro volta problematico. In passato alcuni studiosi hanno parlato dei genitori in modo colpevolizzante, ad esempio utilizzando il termine di “madre schizofrenogena” per indicare determinate caratteristiche della mamma del paziente schizofrenico che porterebbero alla sua malattia.

Ad oggi non esistono certezze per cui sono estremamente contrario a questa colpevolizzazione della famiglia. Lo stigma sociale dal malato passerebbe sulle spalle del padre o della madre, provocando seri danni in termini di negazione della sofferenza. Se, infatti, ritengo la malattia una colpa non sarò molto disponibile ad accettare la sua esistenza, ma negherò fino alla fine che ci sia nella mia famiglia una persona che ne è affetta. Piuttosto sarebbe opportuno prendere in carico tutta la sofferenza della famiglia allargata che, dopo due o tre generazioni, può aver favorito l’insorgenza della patologia.

Si badi bene che il termine corretto è “favorito” e non “determinato”. Si può ragionevolmente affermare che in un certo contesto, con certe problematiche nei nonni, che si ripercuotono e provocano disfunzionalità nei genitori, la patologia del figlio possa trovare terreno fertile. Non si può assolutamente arrivare alla conclusione che i comportamenti dei nonni o dei genitori siano la causa della malattia. Esiste sempre una componente individuale fatta di problemi personali, influsso sociale, condizionamenti amicali, eventi fortuiti quali amori non corrisposti o sofferenze nascoste che portano verso la malattia o verso la guarigione.

Il problema più importante è la diffusione fra i ragazzi adolescenti di problematiche relative all’accettazione del proprio corpo con inizio di diete drastiche per assecondare le immagini stereotipate dei modelli spesso magrissimi se non, nel caso delle ragazze, anoressici. Se oltre il 90% delle ragazzine è perennemente a dieta è chiaro che è facile che alcune di esse virino, inconsapevolmente, verso una vera e propria patologia.

Tornando alla notizia del padre condannato spero che lo sia stato per maltrattamenti riscontrati e verificati. Sarebbe estremamente grave che fosse stato condannato perché ritenuto la causa della malattia della figlia. Questa eventualità, che i giornalisti paiono avvalorare, porterebbe nefaste conseguenze. A quel punto, per estremizzare, dovremmo condannare il padre che porta il figlio a giocare a calcio, nell’eventualità che si fratturi una gamba, in quanto sarebbe la “causa” della sua patologia. Infliggere lo stigma sociale ai genitori di pazienti affetti da disturbi psichici mi pare assolutamente errato sul piano medico e pericoloso sul piano sociale.

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