di Antonio Guadagno
Fino a due anni fa, con Learning Loss (o Summer Learning Loss) si intendeva la diminuzione di competenze e conoscenze degli allievi rispetto a quanto acquisito durante l’anno scolastico, dovuta a lunghi periodi di vacanze, come la pausa estiva.
Con l’emergenza Coronavirus i costi educativi hanno invaso anche il periodo scolastico, a causa degli ampi intervalli in cui la didattica in presenza non è stata possibile. Dalla Relazione 2020 del CNEL al Parlamento si evince che hanno interrotto la frequenza “oltre 10,8 milioni tra bambini e studenti dal livello pre-primario all’università, per una perdita di giorni/scuola pari a quasi un quarto di anno scolastico. La perdita di apprendimenti è stimata per gli studenti italiani in oltre il 30%. L’impatto del learning loss è stato a sua volta stimato in una perdita di Pil dell’1,5% annuo per il resto del secolo”. E non si è tenuto conto dei primi mesi del 2021.
A conferma di ciò viene in soccorso la cosiddetta teoria del rubinetto: durante l’anno scolastico gli studenti, indipendentemente dall’estrazione sociale, possono attingere dal rubinetto delle risorse che la scuola mette a disposizione; quando la scuola si ferma o “rallenta”, il progresso nell’apprendimento si svilisce o viene meno, in maniera determinante per gli studenti provenienti da contesti svantaggiati.
Tale chiusura prolungata, quindi, avrà effetti di lungo periodo sull’apprendimento e, di conseguenza, sulla dispersione scolastica, fenomeno già preoccupante prima della crisi; essa colpirà ancora di più gli studenti e le studentesse che appartengono a nuclei familiari con marcati gap socioeconomici, le cui priorità sono particolarmente focalizzate sulla disponibilità di beni essenziali, tralasciando le necessità educative. Si fa riferimento nello specifico alle famiglie di alcune delle regioni del Sud e delle isole, ma soprattutto alle famiglie con genitori stranieri, i cui figli hanno spesso perso dimestichezza a parlare in italiano.
Dove le condizioni culturali e lavorative lo hanno permesso, i genitori hanno svolto, soprattutto nelle prime classi, un’azione compensativa, che ha, indirettamente, acuito le disuguaglianze. Il digital divide, poi, è stato purtroppo determinante: secondo uno studio dell’Agcom, “durante il periodo di emergenza una parte consistente degli studenti è stata tagliata fuori dal processo educativo”. Occorre sottolineare però che le scuole si sono molto impegnate nel rimanere in contatto con gli allievi, dando continuità educativa attraverso l’utilizzo delle tecnologie e la didattica a distanza, fornendo, per quanto possibile, anche supporto tecnologico a chi ne fosse privo.
Ma l’azione educativa, oltre alle competenze cognitive, si fonda sulla relazione, sull’accoglienza e su tutte quelle “capabilities” di carattere motivazionale, emotivo e di socialità, che sono state quasi del tutto annullate a causa del lockdown. Il ministro Patrizio Bianchi, circa un mese addietro, nel corso di un suo intervento alla trasmissione “Che tempo che fa” ha detto: “Oggi lavoriamo per una scuola affettuosa, dove si ritrovi l’affetto per gli altri. Dove si costruisce cioè non solo la propria identità, ma la relazione con gli altri”.
Per tale motivo ha avviato il cosiddetto “Piano Scuola Estate” che accompagnerà le istituzioni scolastiche nella creazione di iniziative per recuperare la socialità degli studenti almeno in parte perduta e condurli verso il nuovo anno scolastico.
La partecipazione delle scuole è stata massiccia ma non totale, anche se i fondi sono stati tutti impegnati. Sarà sufficiente ad arginare l’aumento degli “Early School Leavers”? Lo scopriremo tra qualche mese.