Debiti che superano costantemente i ricavi; perdite plurimilionarie che si susseguono anno dopo anno; flussi di cassa azzerati. Se fosse un’azienda normale avrebbe già portato i soldi in Tribunale. Non è così per l’industria del calcio italiano che vive da anni sul filo del rasoio. Bilanci scassati (con pochissime eccezioni, Atalanta e Napoli in particolare) affidati alle magie del calciomercato e delle plusvalenze sullo scambio dei giocatori come unico salvagente a rattoppare in parte i conti disastrati. Con in mezzo il ruolo opaco di quel manipolo di agenti e procuratori di allenatori e calciatori che fanno il bello e il cattivo tempo nel gioco ambiguo del calciomercato. Di tutto questo si occupa Report in un’inchiesta sull’affaire miliardario di quell’industria particolare che è il calcio professionistico nella puntata che andrà in onda lunedì sera su RaiTre. Basta sfogliare i bilanci delle squadre per capire che si è di fronte a un enorme gigante dai piedi d’argilla. Un’azienda malata, da anni, con il Covid che ha solo aggravato una situazione da punto di non ritorno.
Come documenta l’ultimo report annuale della Figc e di Pwc sul calcio italiano professionistico (serie A B e C) nelle ultime 5 annate dal 2014 al 2019, quindi pre-Covid, le perdite cumulate sono state di 1,6 miliardi. L’ultima annata, il 2018-2019, ha visto perdite per le tre serie professionistiche di 395 milioni su ricavi totali di 3,85 miliardi. Ogni 100 euro incassati 10 diventano perdite secche. Solo i ricchi stipendi di calciatori e allenatori si mangiano in media il 60% dei ricavi, e gli ammortamenti annui dei calciatori sono costi per quasi un miliardo. Dai diritti tv arriva il grosso del fatturato, circa 1,4 miliardi l’anno. Con i ricavi da biglietti che anche in era pre-Covid valgono ormai meno del 10% delle entrate, l’altra gamba dei ricavi dopo i diritti televisivi sono proprio le plusvalenze da calciomercato che solo nel 2018-2019 sono state di ben 753 milioni.
Spesso solo numeri contabili dato che con gli incroci di scambio tra club su valori spesso artificiosi, soldi veri in cassa non entrano. Sono, in virtù degli acquisti e cessioni concordate tra club, solo numeri scritti a bilancio. Transazioni figurative che gonfiano i ricavi in modo fittizio, quel tanto che basta a evitare una Caporetto definitiva. Senza quei ricavi aggiuntivi lo sprofondo del calcio italiano varrebbe ogni anno oltre un miliardo di euro, rendendo la situazione debitoria ancora più grave. Già, i debiti: l’altro macigno che incombe sulle squadre. I debiti cumulati, saliti a quota 4,6 miliardi nella stagione 2018-2019 superano ampiamente i ricavi complessivi fermi a 3,8 miliardi. Poche aziende si possono permettere debiti superiori ai fatturati senza fallire. E la stagione che si è appena chiusa ha visto i debiti salire ancora verso quota 5 miliardi. Un peso insostenibile, dato che non ci sono utili e flussi di cassa tali da poter pensare a un futuro rimborso di così tanta esposizione finanziaria. Sono tra l’altro proprio i grandi club ad avere i bilanci peggiori. E non a caso la suggestione SuperLega con una torta più ricca di ricavi da spartire su pochi club in un circolo chiuso, ha subito ammaliato le regine storiche del campionato Juve, Inter e Milan. I tre ex-scissionisti più la Roma vedono un saldo delle perdite complessive della stagione pre-Covid che sfiora i 600 milioni con debiti netti finanziari che valgono quasi 1,4 miliardi.
I GUAI DELL’INTER: VINTO LO SCUDETTO I PROBLEMI RIMANGONO
L’Inter ha sì vinto lo scudetto, ma ha a che fare con una proprietà che continua a indebitarsi pur di mantenere il controllo della squadra. Il fondo Oaktree ha appena prestato 275 milioni alla controllante del club Great Horizon che li girerà all’Inter. Buoni solo per sanare il pregresso (leggi stipendi arretrati) e per tentare di chiudere il bilancio della stagione 20/21 con perdite minori dei 102 milioni di passivo della stagione 19/20. Da quei 275 milioni del prestito del fondo californiano, che ha in pegno tutte le azioni di Great Horizon, la scatola lussemburghese che governa con il 68% del capitale sul club nerazzurro, vanno tolti i 33 milioni per liquidare LionRock.
Ne restano 240 che servono a tappare i buchi contabili del recente passato. A forza di indebitarsi per restare al timone dell’Inter Suning si è cacciata in un cul de sac. I cinesi si sono imbottiti di debiti che devono essere onorati. Tra soli 3 anni dovranno reperire 275 milioni di liquidità per rimborsare il debito con Oaktree, cui si aggiungono nel frattempo gli interessi da capogiro. Si parla di un 9% annuo che fa lievitare la sola spesa per interessi nel triennio a oltre 72 milioni. E così per non farsi pignorare l’Inter dal fondo Usa gli Zhang devono reperire da oggi e in soli 36 mesi una provvista liquida di 340 milioni di euro. Ma non finisce qui. Sotto Great Horizon c’è il club nerazzurro strozzato da quei 2 bond da 375 milioni totali che vanno ripagati entro dicembre 2022. Il totale dell’esposizione debitoria che Suning deve fronteggiare sopra e sotto il suo piccolo impero calcistico supera i 700 milioni. O l’intera conglomerata Suning in Cina esce inaspettatamente dalla sua crisi finanziaria e allora provvede a sanare il debito, oppure ci deve pensare l’Inter con i suoi flussi di cassa che non ci sono. Pensare che gli Zhang vadano a nuovi investimenti per rafforzare la squadra e aprire a un ciclo vincente duraturo in queste condizioni è dura.
La prima esigenza del proprietario cinese sarà fare cassa il più possibile per fronteggiare i debiti. E tenere botta un altro po’ solo per passare la mano ai nuovi proprietari. Lo schema probabile è quello visto con il Milan, dove il fondo Elliot da prestatore di denaro è divenuto azionista dopo aver escusso il pegno sulle azioni. È l’exit strategy per gli Zhang che nell’avventura con l’Inter tra costi d’acquisizione, finanziamenti soci e aumenti di capitale hanno finora sborsato una cifra di gran lunga superiore ai 600 milioni. Soldi bruciati sull’altare della megalomania del calcio che da anni (non solo l’Inter) spende e spande accumulando debiti mostruosi. Per l’Inter i soli costi del personale (su cui regnano i fantastici stipendi di calciatori e allenatori) si mangiano tutti i ricavi. Nella stagione ’19-’20 il club nerazzurro ha speso in stipendi 198 milioni cui si aggiungono costi operativi per ben 118 milioni. Morale solo i costi diretti spesano 316 milioni, più del fatturato netto. Poi vanno tolti gli ammortamenti dei costosi cartellini che nella stagione scorsa per l’Inter hanno voluto dire altri 123 milioni di spese. Ecco che la voragine nei conti è servita.
Se non da ieri e non solo per l’Inter la dinamica è quella, cioè costi che superano immancabilmente i ricavi, la striscia delle perdite è assicurata. Perdite che mangiano il capitale che nel caso dell’Inter è negativo e debiti a coprire i fabbisogni di cassa. Alla fine resta il calciomercato con la droga delle plusvalenze a mettere una pezza ai malandati conti. Ma è un circolo vizioso. Se vendi i migliori dopo una stagione vincente, solo per tamponare le perdite, poi tocca ricominciare daccapo. E l’addio di Conte (liquidato con 7,5 milioni di buonuscita) la dice lunga su quello che potrà accadere al club.
JUVE IL GRANDE FLOP
La Juve chiude una stagione fallimentare. Niente scudetto dopo 9 anni e niente successi in campo internazionale, nonostante il fuoriclasse Ronaldo, costato tra prezzo d’acquisto e stipendi oltre 300 milioni, quasi l’intero fatturato di una stagione. I bianconeri chiuderanno quasi sicuramente ancora in perdita per il quarto anno consecutivo. La semestrale di fine anno evidenziava perdite nette per 113 milioni su 258 milioni di ricavi. Difficile ribaltare il risultato in sei mesi. Sul versante del player trading, il saldo della gestione calciatori è stato negativo per 52 milioni nell’ultima annata. Le plusvalenze nette da 140 milioni non sono bastate a coprire i costi di ammortamento dei cartellini pari a 193 milioni. La Juve siede su un debito finanziario netto di 357 milioni.
MILAN MENO PERDITE MA SEMPRE PERDITE
Il Milan con la perdita attesa, secondo indiscrezioni attorno ai 100 milioni nella stagione appena conclusa, porta il suo passivo cumulato negli ultimi 4 anni a mezzo miliardo. I ricavi negli ultimi anni non sono mai bastati a contenere i costi. Quanto ai debiti netti nella stagione precedente c’era un’esposizione verso società di factoring per poco più di 100 milioni, cui però vanno sommati quelli verso il socio di controllo. L’indebitamento finanziario netto, come recita l’ultima relazione di bilancio disponibile, è di 250 milioni.
ROMA DEBITI VERSO I 300 MILIONI
La Roma sorvegliata speciale della Consob deve ogni mese comunicare al mercato la sua posizione debitoria. Ebbene ad aprile di quest’anno il debito finanziario netto era di ben 288 milioni di euro. Il club ha poi debiti commerciali scaduti saliti a 20 milioni. Per il nuovo socio l’americano Friedkin che ha rilevato il club da Pallotta le cose non si mettono bene. La semestrale della squadra chiusa a dicembre 2020 vede una perdita per 74 milioni su ricavi di soli 98 milioni. Di fatto la società AS Roma perde una cifra pari a quasi l’intero fatturato. I costi per 118 milio mandano in rosso i conti già a livello di margine lordo.
Lo spaccato dei primi sei mesi non si discosta molto dall’andamento dei conti dell’ultimo anno. La Roma nella stagione scorsa ha chiuso il bilancio annuale con perdite per 200 milioni su soli 140 milioni di fatturato. Sostenere quasi 300 milioni di debito finanziario per una società che ha margine operativo lordo già negativo è impresa titanica. Vedremo cosa si inventerà il nuovo patron americano del club. Per ora gioca la carta dello Special One. Mourinho chiederà una squadra rinforzata e questo vorrà dire nuovi costi in più. In fondo il calcio è un’azienda alla rovescia. Prima spende e spande poi si preoccupa di cercare ricavi. Che sono aleatori. Davvero un mondo alla rovescia per l’intero industria del pallone e la Roma non fa eccezione.