A rendere quest’anno scolastico così difficile non è stato tanto il Covid, quanto un enorme e ingiustificato allarmismo, alimentato purtroppo dai mezzi d’informazione.
Partiamo dai numeri: le scuole sono finalmente aperte dal 7 di aprile. E da allora la curva dei contagi ha continuato a scendere sia dove si è aperto e in sia in modo pressoché identico in quelle realtà locali dove invece si è insistito con chiusure irrazionali. E che la scuola doveva essere l’ultima eventualmente a chiudere e la prima a riaprire perché chiudere gli istituti scolastici serviva a poco o nulla lo avevo spiegato in circa dieci contributi qui, qui, qui, qui, qui e qui.
Molti paesi europei le scuole la hanno aperte a maggio 2020, eppure non c’è stata alcuna ripresa della pandemia allora. Tuttavia, a ottobre ha iniziato a circolare sui mezzi d’informazione la “teoria del quattordicesimo giorno”: ovvero che l’esplosione dei contagi dipendesse non tanto da un andamento stagionale del SARS-CoV-2 (in modo analogo agli altri coronavirus noti), ma piuttosto dalla riapertura delle scuole.
Ripercorriamo che cosa è successo attraverso alcune dichiarazioni che ciascuno potrà giudicare se i fatti le abbiano smentite o meno.
24 Ottobre: “La riapertura delle scuole ha agito come un potente amplificatore del contagio.”
14 Novembre: “A scatenare l’impennata dei grafici è stata la scuola.”
6 Gennaio: “Tra la riapertura della scuola a settembre e l’inizio della fase esponenziale sono passate solo due settimane… La riapertura delle scuole è stato l’unico nuovo evento che si è verificato in Italia in quel lasso di tempo.”
L’ipotesi “scuola motore del contagio” è stata smentita da Ecdc, il centro europeo per il controllo delle malattie, la massima autorità sanitaria europea, da Oms (le scuole siano le ultime a chiudere e le prime a riaprire), dall’istituto superiore di Sanità (solo il 2% dei focolai identificati ha origine scolastica), dal Comitato Tecnico Scientifico, e da uno studio specifico sulla realtà italiana della scienziata Sara Gandini e collaboratori, che ha dimostrato come la scuola c’entrasse poco o nulla, e che per questo è stata oggetto di attacchi sessisti inqualificabili.
Un importante lavoro del prof. Alberto Villani e collaboratori dal titolo eloquente “le scuole sicure con il rispetto delle precauzioni” con i test a tappeto su tutta la popolazione scolastica di un istituto comprensivo di Roma (1200 persone, ), pur trovando circa 16 positivi, non ha identificato neppure un contagio avvenuto all’interno di quella scuola.
L’allarmismo è ripartito con la riapertura di gennaio, dopo la quale non c’è stata alcuna impennata dei contagi, che anzi sono calati). Ma anziché ammettere l’errore, c’è chi ha continuato con le stesse teorie di prima, aggiungendoci che adesso che arrivava la “variante inglese” sarebbe cambiato tutto.
7 Febbraio: “Le scuole aperte favoriscono la diffusione del virus”
27 Febbraio: “L’aumento dei ricoveri in terapia intensiva è maggiore nelle Regioni dove si è tornati prima in classe”. Dati anche qui che non mi risultano ancora pubblicati su alcuna rivista scientifica.
E tutto questo allarmismo purtroppo è riuscito a far chiudere le scuole ai primi di marzo. Quando la curva dei contagi stava già raggiungendo per conto suo il picco, e di lì a poco avrebbe iniziato una sua discesa spontanea.
I disastri sono stati ovviamente predetti anche per la riapertura del 7 di aprile:
24 Marzo: “Per due volte abbiamo riaperto le scuole – a settembre e a gennaio – e per due volte la curva dei contagi si è impennata. Un caso? No. E ci sono le prove scientifiche.” Prove scientifiche? La curva dei contagi non si è affatto impennata a né a gennaio e neppure ad aprile. Un caso, aggiungo io?
19 Aprile “Come per ottobre e per febbraio, la scuola è la prima responsabile dell’aumento dei contagi, che torneranno a salire”.
23 Aprile: “non ci sono i numeri per le riaperture”
26 Aprile: “Prevedo che tra 3-5 settimane dovremo richiudere. Più di tutto, mi preoccupa la scuola. Si è dimostrato che, in seguito al ritorno degli studenti in presenza, l’Rt aumenta del 25% in 4 settimane. Entro 7-10 giorni la curva tornerà piatta e poi ricomincerà a salire.”
Da marzo a oggi la famosa variante inglese è divenuta il 90% di tutte quelle circolanti, eppure non c’è stata alcuna ripresa dei contagi né tantomeno impennate dell’indice rt. E che la presenza delle varianti non imponesse alcun cambio di strategia per le scuole lo aveva spiegato l’Oms. Da aprile si è dato enorme risalto mediatico alle quarantene ma quando poi nella stragrande maggioranza dei casi l’unico positivo non aveva contagiato nessun altro la “non-notizia” è stata taciuta.
Con un’incidenza minore di 30 casi per 100.000 abitanti (in calo e mai così bassa da settembre), siamo arrivati alla fine dell’anno scolastico. I danni causati dalla chiusura delle scuole purtroppo li abbiamo solo iniziati a vedere: disagio psicologico, ritardi formativi, abbandoni scolastici, studenti e studentesse che hanno vissuto la didattica a distanza malissimo.
Secondo una recente indagine di Save The Children, un terzo degli studenti (29.3%) non sa come scaricare un documento da una piattaforma scolastica, il 13,6% è in condizioni di povertà assoluta, 1 su 3 non ha un tablet e uno su 7 nemmeno un PC a casa. E nonostante la sovraesposizione al digitale, il 46,1% non è in grado di riconoscere fake news rispetto all’attualità e il 56,8% non è consapevole della cessione dei propri dati personali ai social.
Nativi digitali, ma sono stati trasformati in consumatori acritici e inconsapevoli. Qualcuno chiederà mai scusa ai nostri giovani?