Save the Children ha promosso un’indagine su un campione di 772 tredicenni in collaborazione con il CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media e alla Tecnologia) dell’Università del Sacro Cuore di Milano, dal titolo emblematico “Riscriviamo il futuro: una rilevazione sulla povertà digitale”. I dati testimoniano l’ampiezza della povertà digitale perfino fra i giovanissimi col cellulare sempre in mano. Ci dicono che un anno e mezzo di DaD a fasi alterne l’ha resa ancora più ingiusta e pesante.

I tredicenni che hanno risposto al questionario, hanno frequentato le terze classi della scuola secondaria di primo grado (la scuola media), dunque hanno studiato in remoto per almeno 4 degli ultimi 8 mesi di scuola. Sarebbe normale attendersi una certa famigliarità con le tecnologie, non fosse altro che perché sono stati costretti ad usarle massicciamente, volenti o nolenti. Invece uno su cinque non è neppure in grado di rispondere ad almeno il 50% delle domande del questionario di autovalutazione delle competenze digitali.

Se si tratti di incapacità di comprendere i quesiti o di scarsa conoscenza non si sa, ma genera un certo allarme leggere che – conviene ribadirlo – dopo un anno scolastico e mezzo di intensiva frequentazione del web per ragioni scolastiche, 2 ragazzi su 3 non sanno scaricare un documento condiviso dal docente sulla piattaforma scolastica adoperata per le lezioni quotidiane e le relative esercitazioni a distanza.

Il campione è molto ridotto e senza la pretesa di rappresentare statisticamente la popolazione dei tredicenni italiani, dunque lo stato della “consapevolezza informatica” potrebbe non essere così drammatica, senza però dimenticare che il 13,6% dei minorenni italiani (pari a 1.346.000 bambini e adolescenti) vive in famiglie in situazione di povertà assoluta, vale a dire impossibilitate ad acquistare beni e servizi essenziali (stime Istat 2021). Non bisogna anche dimenticare che lo stesso indicatore 10 anni fa si aggirava sul 5% e che la sua crescita impetuosa è stata contrastata solo dall’introduzione del Reddito di Cittadinanza che ha attutito gli effetti dell’impoverimento generale delle fasce più deboli della popolazione nazionale.

La pandemia ha peggiorato le cose: il 12,3% dei ragazzi in età scolare (il 19% nel Mezzogiorno) l’ha trascorsa senza pc e tablet, il 42% di loro ha passato i mesi di lockdown in abitazioni sovraffollate. Al 10% di allievi che provengono da famiglie straniere è andata ancora peggio, visto che in questo ambito la povertà assoluta caratterizza una famiglia su 4 e l’acquisto di strumenti per l’apprendimento digitale non rientra fra le priorità quando si deve sopravvivere giorno dopo giorno. Le statistiche sulle competenze non registrano ancora del tutto le sfaccettature del disastro sotto forma di abbandoni, di gap culturale, di deficit complessivo, tanto più evidente se si osserva come la pandemia abbia distrutto le residue aspettative di successo proprio di coloro che provengono da famiglie povere.

A questo proposito è interessante il dato sul titolo di studio dei genitori dei tredicenni intervistati: il 41% ha la licenza media, 44% il diploma di scuola superiore, il 15% una laurea, tutti valori superiori alle statistiche ISTAT della popolazione italiana (50% licenza media. 35,6% diploma di scuola superiore o qualifica professionale, il 16% licenza elementare, il 13,9% laureati, gli analfabeti al 4,6%). Quanto alla dotazione informatica domestica, il 30,4% dei ragazzi non possiede il tablet, il 45% ne ha uno e il 24% più di uno, l’85,8% ha almeno un pc. L’1% dei ragazzi vive in case senza una tv o uno smartphone, il 19,6% non ha a casa una connessione veloce. Quanto al tempo dedicato all’uso dei dispositivi elettronici, il 71% va al gioco (on e off line), il 14,7% alle lezioni on line, il 10% ai compiti e via a scendere.

Interessante la rilevazione sulle esperienze digitali scolastiche ante-Covid. Il 37,5% dei ragazzi non aveva mai usato il pc a scuola, il 51% ogni tanto, l’11% tutti i giorni. Per quanto riguarda l’uso della LIM in classe, mai il 32,5%, tutti i giorni il 35%, occasionalmente il 33%. Poi è arrivata la pandemia, tutto si è spostato sul web, così il 78% degli intervistati afferma di aver fatto la conoscenza di app e programmi di cui ignorava l’esistenza. Inoltre tutti dichiarano di aver imparato a usare almeno uno strumento elettronico per mantenere il collegamento con la scuola e non solo. Infatti il 67% dei tredicenni attribuisce un valore positivo agli strumenti digitali per conoscere cose nuove e sviluppare passioni e interessi anche extrascolastici.

Forse proprio la maggiore dimestichezza con gli strumenti digitali e la frequentazione assidua del web ha portato con sé un aumento della consapevolezza dei rischi che si corrono nella gestione dei social e delle app utilizzate per la DaD: scaricare un documento dalla piattaforma scolastica, condividere lo schermo con Zoom, riconoscere la data di pubblicazione delle notizie sui portali. Sconosciute ai più le regole della cessione dei diritti d’immagine dei social e il copyright, una lettura dei dati indica la necessità di spiegare meglio ai ragazzi i rischi e le misure per evitarli.

La perla, come spesso accade, si trova però al fondo dell’indagine. Ai ragazzi è stato chiesto di indicare a quali proposte, in un insieme di cinque possibilità, davano il consenso perché utili a migliorare le competenze digitali: il 100% di loro ha scelto anche “formare i docenti sull’utilizzo degli strumenti digitali”. Che abbiano voluto dirci qualcosa?

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