Qualcuno ricorderà il film The Game – “il gioco” – diretto nel 1997 da David Fincher, con Michael Douglas, finanziere con l’ossessione di fare sempre più soldi, e suo fratello Sean Penn, in apparenza scapestrato ma – in effetti – saggio e sempre più preoccupato per la piega autodistruttiva che ha preso la vita del suo più stretto consanguineo. Il gioco pone al centro una società di consulenza che – utilizzando ogni mezzo, dai questionari alla grafologia – si impadronisce fin nei più intimi particolari della struttura psicologica di una persona, al fine di programmarne il futuro governandone ogni dettaglio: sicché il finanziere Douglas sparerà al povero Penn e, credendo di averlo ucciso, tenterà di suicidarsi. In una conclusione fracassona del game, dove tutto è rigorosamente previsto per arrivare al lieto fine. Perché, come disse la scrittrice americana Mary Mc Carthy, “l’happy end è la nostra ideologia nazionale”.

A volte Hollywood riesce a forare la cappa di apparenze che sovrasta le nostre esistenze lasciando intravvedere frammenti di realtà. Ossia l’effettiva condizione che ci riserva l’ordine sovraordinato del Potere, da quando la modernità pose le sue fondamenta nel New England e i Padri Fondatori, ispirati dal maître à penser Beniamino Franklin che disprezzava i poveri (“che non vanno aiutati perché imparino ad arrangiarsi”), instaurarono una plutocrazia coloniale che strumentalizza l’energia dei ceti subalterni (che la cultura anglosassone considerava etnie inferiori) per realizzare i propri scopi.

Michel Foucault aprì uno spiraglio sulla vera natura del Potere osservandone l’evoluzione quando scoprì la superiore economicità di incatenare le menti al posto dei corpi. Oggi studi accurati approfondiscono le tecniche più aggiornate di indirizzo del comportamento (dalle scelte d’acquisto alle opzioni elettorali) che pretendono di smentire la credenza cristiana nel libero arbitrio. Operazione entrata in una dinamica accelerativa dal momento in cui fu espulso dal campo di gioco il soggetto che inceppava le dinamiche del dominio: il lavoro organizzato. E – come disse Zygmunt Bauman – “i ricchi impararono a fare a meno dei poveri”.

Per cui, caro lettore di questo post claustrofobico (se non ti sei fermato prima, in quanto intollerante alle mie melanconie), mi spiace dirtelo: tu ed io – borghesi proletarizzati – non contiamo più niente.

Il demos è in balia dell’oligos grazie al cosiddetto Capitalismo della sorveglianza che le varie Facebook, Google esercitano su di noi. Per cui a Occidente ci rimane solo la condizione di consumatori e a Oriente quella di robot umani al lavoro nella mega-macchina mondiale. Almeno fino a quando non ci verrà offerta la pillola di Matrix, che Neo riceve da Morpheus e grazie alla quale oltrepassa le apparenze create dal programma carceriere. E così potremo vedere chi veramente sono i nostri oppressori. L’assurdità tutta italiana di consegnare il compito di rifondare il Paese all’algoritmo che incorpora le procedure che l’hanno rovinato: il banchiere locale per eccellenza Mario Draghi con la costellazione dei suoi programmi secondari (il travet Cingolani, sacerdote della tecnologia affaristica, il lunare Colao, liberista del cartello oligopolistico della telefonia cellulare, la costituzionalista controriformista Cartabria).

Ecco, credo che la pillola anti Matrix-dominio-plutocratico sia rappresentata da una turbativa nel software del potere: la ripresa del conflitto. Che tuttavia non riguarda la dialettica tradizionale tra chi sta in alto e chi sta in basso. Piuttosto coinvolge soltanto il vertice, l’establishment. Ossia le tensioni che si stanno manifestando tra le due parti del club degli ottimati, relative ai criteri di spartizione delle ricchezze che si sono accumulate nel punto più elevato della piramide sociale.

Le turbative sulla vetta dell’Olimpo.

Parliamo dello scontro tra mega-imprese e ultra-ricchi ormai de-territorializzati e quella parte di potenti che traggono la loro condizione dall’amministrare i confini delle varie nazioni. L’altro giorno era lo scontro tra i difensori della proprietà intellettuale e i liberalizzatori dei vaccini: il presidente Joe Biden versus Pfizer e Big Pharma. Ora la controversia sulle tasse non pagate dalle varie major californiane del silicio.

Scontri risolti tutti – non a caso – con il trionfo dei soggetti che si arricchiscono con il business delle manipolazioni mentali e forme schiavistiche di sfruttamento. Nonostante le dichiarazioni teatrali delle controparti regolatrici che parlano di successi epocali per aver stabilito il prelievo del 15% sui superprofitti faraonici. E Thomas Piketty dichiara: “Anche a me piacerebbe pagare aliquote così modeste”.

Però è un altro varco che si apre. Se entrasse nel gioco anche un soggetto rappresentante degli esclusi si potrebbe rimettere in funzione il meccanismo democratico, attraverso intelligenti politiche di alleanze. Tutte le rivoluzioni conosciute hanno visto coalizioni tra insiders e pezzi delle vecchie classi dominanti.

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