Aperto il dibattimento. L'unico imputato per omicidio volontario con dolo eventuale è l'imprenditore svizzero Schmidheiny che la Cassazione prosciolse per via della prescrizione. Deve rispondere di 392 morti per tumore da asbesto
Anche lo Stato si costituisce parte civile nel maxi-processo Eternit che è cominciato oggi davanti alla Corte d’assise di Novara. L’unico imputato è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale. Nel capo d’imputazione la Procura ha calcolato 392 morti per tumore da asbesto, causato dal cemento-amianto prodotto dall’azienda che ha chiuso ormai oltre trent’anni fa ma i cui effetti si sono protratti nel tempo, tanto che il picco dei decessi è iniziato in questi anni e si protrarrà ancora per altro tempo. A depositare la costituzione di parte civile per lo Stato è stata la presidenza del Consiglio: in aula – allestita all’Università del Piemonte Orientale – è presente il procuratore dell’Avvocatura dello Stato Emilio Barile La Raia. A coordinare l’afflusso di pubblico e persone offese la Polizia e i Carabinieri: sul posto anche la questora di Novara Rosanna Lavezzaro. Il processo è stato rinviato al 5 luglio e la prossima udienza sarà dedicata all’esame delle questioni preliminari sollevate dalla difesa dell’imputato – rappresentata dagli avvocati Guido Carlo Alleva e Alessio Di Amato – che ha chiesto di escludere la costituzione di parte civile di palazzo Chigi per l’insufficienza delle ragioni portate a sostegno della domanda.
“La ferita è aperta” ha detto in apertura del dibattimento il pm Gianfranco Colace, che insieme alla collega Maria Giovanna Compare sostiene l’accusa davanti alla Corte di Assise. “Anche se questa Corte è diversa da quella cui io avevo pensato di rivolgermi – ha osservato – questa vicenda va oltre i confini di Casale Monferrato”. Il riferimento è alla decisione con cui nel 2016 un giudice del Tribunale di Torino decise di spezzettare la maxi inchiesta Eternit in quattro distinti filoni. A Novara si celebra il processo più importante tra i vari stralci che procedono in diversi tribunali d’Italia: questo riguarda le malattie e i decessi provocati a Casale Monferrato (Alessandria), che ha pagato il prezzo più alto di malati e vittime, perché qui era lo stabilimento principale. Inchieste e processi avevano avuto una battuta d’arresto nel 2014, quando la Cassazione annullò tutte le condanne nei confronti di Schmidheiny per prescrizione.
La pronuncia frustrò lo stato d’animo e le richieste di giustizia dei comitati delle famiglie delle vittime. Ma oggi “abbiamo il dovere di essere presenti nonostante i tanti pugni presi nello stomaco – dice Bruno Pesce, dell’Afeva, l’associazione dei familiari delle vittime – Non avremo giustizia fino a quando una sentenza non dirà che queste cose non si dovevano fare e non si dovranno più fare“. All’epoca i politici, come al solito, promisero riforme della prescrizione (tra questi Matteo Renzi), ma ci vollero altri anni per il cambiamento della legge e ora – come noto – tra le forze politiche c’è chi vuole tornare indietro. “C’è la volontà di ottenere giustizia attraverso una sentenza – dichiara l’avvocato di parte civile Enrico Brunoldi – Ma è anche una manifestazione di impegno civile. Oltre alle dolorose storie personali, si avverte la necessità di portare all’attenzione dello Stato una vicenda che non è ancora conclusa”. Dall’altra parte l’avvocato Guido Carlo Alleva, che tutela da sempre Schmidheiny, anticipa che “sarà un processo lungo e complesso nel quale porteremo il nostro contributo tecnico e giuridico con la consueta serietà”. In merito alle questioni che solleverà la difesa, Alleva si limita a dire che “saranno tante“.
Stephan Schmidheiny, imprenditore di 74 anni, svizzero del cantone di San Gallo, rappresenta la quarta generazione di una delle più importanti famiglie industriali elvetiche e la sua carriera imprenditoriale è iniziata proprio alla Eternit, La sua carriera è iniziata con lo stabilimento svizzero dell’azienda di famiglia Eternit, di cui poi diventerà ad. Anzi, secondo quanto raccontò il fratello Thomas, se a lui il padre Max lasciò il cemento, a Stephan affidò l’amianto. Negli anni Schmidheiny differenziò i suoi interessi tanto che fece parte dei cda di Nestlè, Swatch, Ubs. Oltre alla gestione di Eternit, fu controversa anche la sua attività imprenditoriale in America Latina e in particolare Cile dove negli anni Ottanta si accaparrò centinaia di migliaia di ettari di terra. Secondo Forbes il patrimonio di Stephan Schmidheiny nel 2021 è stimabile intorno a 2,3 miliardi.
Il primo processo a Schmidheiny si celebrò agli inizi del 2010. All’epoca era co-imputato il barone belga Jean-Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, uno dei manager che guidarono lo stabilimento di Casale Monferrato, che è morto nel 2013. Nella prima sentenza Schmidheiny e De Cartier furono condannati a 16 anni per disastro ambientale doloso permanente e omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. In appello la pena fu alzata per il solo Schmidheiny a 18 anni (De Cartier era morto). Infine, alla fine del 2014, la Cassazione cancellò tutto senza rinvio per effetto della prescrizione. Dietro la sentenza ci fu il ragionamento dei giudici che il reato era stato commesso fino al 1986, anno in cui gli stabilimenti dell’Eternit in Italia hanno chiuso, e quindi non era più in corso, come invece ritenevano le prime due sentenze sulla base dei tanti casi di mesotelioma che continuano a emergere e continuano a uccidere in questi anni.
Quest’ultimo processo è frutto di un’altra inchiesta per omicidio volontario con dolo eventuale condotta dalla Procura di Torino e su input del procuratore Raffaele Guariniello che, tra i vari rivoli giudiziari a Reggio Emilia, Napoli, Torino, portò al rinvio a giudizio un anno e mezzo fa a Vercelli, competente per Casale Monferrato. Proprio quel giorno Schmidheiny pronunciò in un’intervista a un giornale svizzero le parole che inevitabilmente oggi riverberano, sul suo “odio per gli italiani”. Vale la pena riproporle: “Dopo 40 anni – disse l’imprenditore svizzero – si viene accusati di omicidi di massa e perseguitati. Per risolvere il problema dell’amianto abbiamo fatto tutto il possibile e quanto era ragionevolmente esigibile secondo lo stato delle conoscenze di allora. All’inizio pensavamo che si trattasse di diritto, di fatti, di giustizia, ma nel corso del tempo questa impressione è svanita”. Continuava: “Per non lasciarmi abbattere da questi incredibili attacchi ho capito che mi sarei dovuto occupare della mia salute mentale. Mi sono reso conto di provare dentro di me un odio per gli italiani e che io sono il solo a soffrire per questo. Ho lavorato in modo mirato sulla situazione. E quando oggi penso all’Italia provo solo compassione per tutte le persone buone e oneste che sono costrette a vivere in questo Stato fallito“.