Motivando l'ergastolo inflitto il 19 marzo scorso al boss Nino Madonia, il gup di Palermo Alfredo Montalto scrive che una delle visite di Bruno Contrada e Giovanni Aiello ("faccia da mostro"), nel covo di vicolo Pipitone "fu notata da Agostino che stava effettuando un appostamento". E durante le indagini si è osservato anche un "tentativo non riuscito di depistaggio" da parte del boss Giuseppe Graviano
La ragione dell’omicidio di Antonino Agostino sta (anche) nei “rapporti che Cosa nostra, e nel caso specifico la cosca dei Madonia, intratteneva con esponenti importanti delle forze dell’ordine collegati ai servizi di sicurezza dello Stato”. Lo scrive il gup di Palermo Alfredo Montalto nelle motivazioni – appena depositate in cancelleria – della sentenza con cui il 19 marzo scorso ha condannato all’ergastolo il boss Nino Madonia per l’esecuzione del poliziotto 28enne e della moglie incinta di due mesi, Ida Castelluccio, il 5 agosto del 1989. Avvenuta non soltanto perché Agostino dava la caccia ai boss latitanti su “sollecitazione dei servizi segreti“, ma, “come emerge dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia”, anche a causa delle interlocuzioni tra la mafia siciliana e gli apparati istituzionali. Il giovane agente, infatti, aveva scoperto le frequentazioni di boss mafiosi come Madonia con “esponenti delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza” tra cui l’ex dirigente della Squadra mobile Bruno Contrada, poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, ma anche l’ex questore Arnaldo La Barbera e il poliziotto Giovanni Aiello, detto “faccia da mostro”.
Questo movente, argomenta il gip, “conduce il delitto nell’alveo degli interessi precipui del mandamento di Resuttana capeggiato dai Madonia, con i quali tutti gli esponenti delle forze dell’ordine intrattenevano rapporti”. Il boss Vito Galatolo, ad esempio, “ebbe a vedere personalmente Contrada” in varie occasioni nel covo di vicolo Pipitone a Palermo, “contestualmente a una persona, appartenente ai servizi segreti” soprannominato “il mostro” perché aveva “la guancia destra deturpata da un taglio, la pelle rugosa e arrossata”. Sia Contrada che Aiello, ricorda, “sono stati visti anche in occasione di incontri con altri esponenti mafiosi“. Ed “è significativo evidenziare – si legge – che secondo quanto riferito da Vito Galatolo, una delle visite di Contrada e Aiello, in occasione della quale questi incontrarono Nino Madonia, Pino Galatolo, Vincenzo Galatolo, Gaetano Scotto e Raffaele Galatolo, fu notata da Agostino che stava effettuando un appostamento proprio nel vicolo Pipitone”. Ugualmente significativi sono “i riscontri acquisiti in ordine alla effettiva conoscenza tra Contrada e Aiello e gli strettissimi rapporti esistenti tra i predetti risalenti agli anni Settanta”.
Le indagini seguite al delitto, secondo la sentenza, sono state inoltre inquinate da un “tentativo di depistaggio intervenuto ad opera di uno dei più noti esponenti mafiosi in stato di detenzione, Giuseppe Graviano”, che, “in data 14 luglio 2020, ha rimesso alla Corte d’Assise di Reggio Calabria una memoria difensiva nella quale, tra i molti temi affrontati, vi sono anche specifici riferimenti” all’omicidio Agostino. Nel documento, il capomafia sosteneva che i mandanti sarebbero dovuti essere cercati tra gli uomini vicini al boss collaboratore di giustizia Salvatore Contorno: Graviano, scrive il gup, dice “che il movente del duplice omicidio andrebbe individuato nelle indagini che Agostino avrebbe iniziato sulla gestione del collaboratore Contorno e nel coinvolgimento dello stesso Agostino nel fallito attentato all’Addaura ai danni di Giovanni Falcone”. La memoria, poi, “prosegue con alcune elucubrazioni che legherebbero il duplice omicidio alla strage di via D’Amelio, ma il cui evidente fine è sempre quello di addossare tutte le responsabilità solo ed esclusivamente ai quei soggetti già indicati come tutti legati a Contorno”, quello che per il gup è un “tentativo non riuscito di depistaggio ad altri fini”.