di Adriano Cirillo*

Dopo mesi di dibattiti sulla necessità di vaccinare obbligatoriamente gli operatori sanitari, trattandosi dell’imposizione di un trattamento sanitario, si è reso necessario un intervento legislativo. Il Governo ha quindi emanato il dl 44 dell’1 aprile 2021 (applicabile fino al 31 dicembre 2021 salvo proroghe) che all’art. 4 ha espresso la finalità di “tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”. I soggetti sottoposti sono “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario”, siano essi lavoratori subordinati o autonomi, che svolgono le proprie attività in “strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie e parafarmacie e negli studi professionali…”.

I suddetti soggetti sono “obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2” e – in caso di rifiuto – sono sospesi dalla prestazione; il datore di lavoro deve adibire il sanitario, ove possibile, a mansioni diverse, anche inferiori “che non implichino rischi di diffusione del contagio”. In caso di impossibilità dell’esercizio dello ius variandi, si prevede la sospensione della retribuzione (art. 4, c. 8), dunque in deroga all’art. 2103 c.c. e all’art. 42 del T.U. sicurezza. Non è esclusa l’ipotesi di smart-working.

Tale novità normativa è in linea con le recenti pronunce della giurisprudenza, da ultimo l’ordinanza 12/2021 del Tribunale di Belluno, che – a fronte del rifiuto di dieci sanitari di vaccinarsi e della loro collocazione in ferie forzate – ha stabilito che la struttura sanitaria ha legittimamente disposto il provvedimento, in quanto i dipendenti che si sono opposti alle vaccinazioni hanno pregiudicato l’adempimento della prestazione del datore di lavoro, che ai sensi dell’articolo 2087 cod. civ. è “tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità dei prestatori di lavoro”. La collocazione obbligatoria in ferie dei sanitari disposta dall’azienda risponde “alle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro” come stabilito dall’articolo 2109 cod. civ.

Si può dire che sia il decreto 44/2021 sia la recente giurisprudenza si muovono sul solco tracciato dalla Corte costituzionale, la quale, interpretando l’articolo 32 Cost., ha avuto modo di stabilire come la norma “implica e comprende il diritto dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui”, tutelando il “coesistente diritto degli altri” (Corte Cost. n. 218 del 2 giugno 1994 e Corte Cost. n. 5 del 2018). Si tratta cioè di un contemperamento tra interessi individuali e collettivi, che definisce un criterio di proporzionalità a fronte del perseguimento di uno scopo legittimo, che nel dl 44/2021 è specifico e dettagliato: tutelare la salute pubblica e contenere la diffusione del virus in un ambiente di lavoro ad alto rischio di contagio.

Il decreto presenta dubbi e perplessità attorno alla indicazione dei destinatari dell’obbligo di vaccinazione: gli “operatori di interesse sanitario”. Ci si domanda infatti se vi rientrino o meno gli addetti all’accoglienza, al personale di pulizia, alla mensa ecc., operatori che possono entrare in contatto col virus negli ospedali e – se operanti in appalto o subappalto – essere possibile veicolo del virus presso i loro altri luoghi di lavoro (es. supermercati, mense aziendali). Stando alla norma tali soggetti potrebbero esercitare il diritto di autodeterminazione negativa pur essendo soggetti a forte rischio. L’interpretazione restrittiva della norma è lontana sia dalla realtà sia dall’ordinamento giuridico: si ritiene sia “il rischio” a rappresentare la chiave di volta per individuare i soggetti obbligati.

Il T.U. 81/2008 può estendere l’obbligo di vaccinazione di cui all’art. 4, D.L. 44/2021, avendo per oggetto anche le attività svolte nelle strutture socio-sanitarie, che già rientrano nel suo campo di applicazione, dato che all’articolo 3, c. 1, prevede che venga applicato a tutti i settori per tutte le tipologie di rischio.

Ma cosa accade a coloro che rifiutano di vaccinarsi? Il datore deve cercare una soluzione ragionevole, sia nel senso di adibizione a mansioni “inferiori” sia nel senso di adibizione a mansioni “anche diverse”. Il primo caso appare come una punizione per chi non si vaccini, con incidenza sulla retribuzione in caso di ricollocazione in mansioni inferiori, il secondo caso presenta la possibilità che i lavoratori possano essere lasciati nella stessa mansione, una volta fornite adeguate protezioni individuali. A tal fine dovrebbe essere coinvolto il medico competente, che, dialogando e collaborando con il datore, deve valutare la complessiva esposizione al rischio del lavoratore e dell’ambiente di lavoro. Sembra invece escluso il licenziamento disciplinare e per motivo economico, anche se potrebbero sorgere problemi laddove la sospensione duri a lungo e la prestazione risulti non più necessaria.

Filo conduttore del dl 44/2021 pare essere il contemperamento tra opposte sensibilità: da un lato la tutela del singolo restìo a vaccinarsi e dall’altro la necessità di contenere la diffusione del virus in un ambiente di lavoro ad alto rischio di contagio e quindi la salute pubblica, auspicando che tale mediazione contribuisca a portare tutti fuori dalla pandemia.

*Avvocato giuslavorista. Il diritto del lavoro è la materia per la quale ho da sempre un particolare interesse, perché convinto della rilevanza sociale e personale che il lavoro ha nella vita delle persone. Ritengo che le persone debbano essere sempre al centro di ogni norma e interpretazione giuridica.

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