La giunta Zaia riesuma – è proprio il caso di dirlo – un progetto autostradale vecchio di dieci anni, che affonda le radici nella Tangentopoli veneta e si intreccia con lo scandalo del Mose di Venezia. Si tratta della cosiddetta “Via del mare”, una ramificazione che dovrebbe collegare la A4 (all’altezza di Meolo, poco più a est di Mestre) al lido di Jesolo, la spiaggia più grande del Nordest: un tratto lungo 19 chilometri in mezzo alla campagna, dal costo preventivato di 200 milioni di euro, pensato per attrarre i grandi flussi turistici verso il litorale. Un progetto vagheggiato da almeno vent’anni e che tra i suoi sponsor annoverava Renato Chisso, l’ex assessore ai Trasporti della Regione Veneto poi arrestato e condannato per corruzione. Tutto si bloccò dopo quella vicenda. Ma adesso, ha annunciato il governatore, è giunto il momento di riprendere la gara, di aprire le due buste rimaste chiuse per sette anni e assegnare a un gruppo privato la progettazione definitiva, la costruzione e la gestione della nuova superstrada a pedaggio.

A presentare le offerte, però, sono stati due soggetti particolari. Il primo – che è anche il promotore del project financing – è “Le strade del Mare srl”, joint venture costituita da Adria Infrastrutture, Strade del Mare spa e Consorzio via del Mare. L’ex amministratrice delegata di Adria Infrastrutture è Claudia Minutillo, segretaria dell’ex presidente di Regione Giancarlo Galan che dopo essere stata arrestata, nel 2013, si era trasformata nella grande accusatrice del suo capo. Proprio un pacchetto di azioni della Adria figurava nei capi d’imputazione del processo Mose come prova degli interessi privati di Galan. Ma nella società figura anche il gruppo Mantovani, socio di maggioranza del Consorzio Venezia Nuova dell’ingegner Piergiorgio Baita, al crocevia delle tangenti versate per l’opera. La seconda offerta, invece, è del Consorzio Stabile Sis, società di Torino riconducibile alla famiglia Dogliani e impegnata nella realizzazione della Pedemontana veneta, la più grande opera cantierata d’Italia in via di (faticosa) ultimazione a dieci anni dalla posa della prima pietra. Nomi, quindi – i primi – che arrivano dagli scandali giudiziari passati e un nome – l’ultimo – noto alle cronache più recenti, visto che a soccorrere Sis per far ripartire la Pedemontana è dovuta intervenire la Regione Veneto, mettendo sul piatto 300 milioni di euro nel 2017 e riscrivendo il contratto con l’accollo, da parte dell’amministrazione pubblica, dei rischi sugli introiti da traffico.

Nel 2009 la Regione aveva dichiarato l’interesse pubblico della Via del Mare. Nel 2012 il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) l’aveva autorizzata con prescrizioni. Nel 2013 era partita la gara, ma nel frattempo la Corte dei Conti aveva imposto alcune modifiche al progetto. Poi, nel 2015, lo stop improvviso motivato dal fatto che – dopo lo scandalo Mose – la Procura di Venezia aveva aperto un’inchiesta per turbativa d’asta (finita senza conseguenze) su sei dirigenti regionali. Le accuse riguardavano proprio la dichiarazione di pubblico interesse che secondo i pm favoriva la società di Minutillo e Galan. Adesso la procedura si rimette in moto con un provvedimento della giunta che ordina di andare avanti con l’aggiudicazione. “Prosegue il nostro impegno per la realizzazione delle infrastrutture che servono allo sviluppo del Veneto”, ha dichiarato Zaia, citando anche la Pedemontana. La vicepresidente della Regione, Elisa De Berti, ha indicato le tappe dell’iter: “Ora la parola passa a chi ha partecipato alla gara e ha presentato le offerte”. Ma quanto influirà il tempo trascorso su un progetto così vecchio? Quanto influiranno i trascorsi giudiziari? Il gruppo Mantovani, che naviga in cattive acque e ha raggiunto un accordo per il concordato preventivo, affida anche a questo progetto le proprie speranze di uscire dalla crisi, mentre Sis ha cantieri aperti ovunque, anche se la gestione dei lavori della Pedemontana ha suscitato molte perplessità.

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