L'annuncio della compagnia anglo olandese segue la sentenza di un tribunale olandese che aveva giudicato troppo timidi gli obiettivi fissati dalla compagnia alla luce dei contenuto dell'Accordo di Parigi. Forti pressioni sui colossi petroliferi per un maggior impegno ambientale arrivano anche dai loro stessi azionisti. Agenzia meteorologica e climatica statunitense: "Azzerare le emissioni il prima possibile se si vogliono evitare catastrofi"
La compagnia petrolifera anglo olandese Royal Dutch Shell ha annunciato che velocizzerà i suoi piani di transizione verde e quindi di riduzione delle emissioni di Co2. La decisione segue la pronuncia di un tribunale olandese che aveva giudicato troppo timidi gli obiettivi fissati dalla prima compagnia petrolifera al mondo ingiungendo a Shell di modificare le sue strategie. Il piano originario prevede di ridurre l’uso di combustibili fossili (gas, petrolio, carbone) del 6% entro il 2023, del 20% per il 2030 e del 45% nel 2035 rispetto ai valori del 2016, con l’obiettivo di raggiungere un valore netto delle emissioni di Co2 pari a zero nel 2050. Tuttavia, ha sentenziato la corte olandese, visto il ruolo di grande inquinatore che ricopre la compagnia, è necessario ridurre di almeno 5 anni i tempi indicati.
La sentenza presenta contenuti giuridici potenzialmente rivoluzionari. I giudici hanno ritenuto che gli Accordi di Parigi avessero un valore vincolante per la multinazionale e non solo per i paesi che hanno firmato l’intensa che mira a contenere l’aumento della temperatura globale. Inoltre, per la prima volta, non è stato chiesto ad una compagnia di rimediare a danni già prodotti ma si è guardato a comportamenti che produrranno effetti in futuro. Un approccio che può rappresentare un precedente in grado di orientare molte delle cause simili attualmente in corso a carico di colossi petroliferi.
Livelli di Co2 come nel Pliocene – L’annuncio di Shell arriva nel giorno in cui l’agenzia meteorologica e climatica statunitense, la Noaa, e l’Istituto Scripps di Oceanografia di San Diego hanno reso noto che la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera ha raggiunto nel maggio 2021 il valore medio di 419 parti per milione (ppm), il più alto mai registrato in 63 anni, da quando nel 1958 sono cominciate le osservazioni scientifiche. Nel maggio 2020 il valore medio della Co2 era stato di 417 ppm. “Stiamo aggiungendo grosso modo 40 miliardi di tonnellate di Co2 all’atmosfera ogni anno – commenta sul sito della Noaa il ricercatore Pieter Tans -. E’ una montagna di carbonio che tiriamo fuori dalla Terra, bruciamo e rilasciamo in atmosfera come Co2, anno dopo anno. Se vogliamo evitare un cambiamento climatico catastrofico, la massima priorità deve essere ridurre a zero l’inquinamento da Co2 al più presto possibile”. La quantità di Co2 nell’atmosfera oggi è paragonabile a quella dell’Ottimo Climatico del Pliocene, fra 4,1 e 4,5 milioni di anni fa, quando l’anidride carbonica era intorno a 400 parti per milione. A quell’epoca, il livello del mare era di circa 24 metri più alto di oggi e la temperatura media era quasi 4 gradi più alta di quella dell’epoca pre-industriale. Ricerche indicano che allora ampie foreste occupavano zone dell’Artico che ora sono tundra.
La rivolta degli azionisti di Exxon Mobil – Dopo la sentenza Shell aveva annunciato ricorso contro la decisione. Tuttavia, a fronte anche delle crescenti pressioni di azionisti ed opinioni pubblica, la compagnia sembra ora voler tentare una via conciliatoria. Negli ultimi tempi diversi colossi petroliferi sono finiti sotto il fuoco incrcociato dei loro stessi azionisti che chiedono maggiore impegno sul fronte degli obiettivi ambientali previsti nelle strategie aziendali. E’ successo a Chevron ed è successo soprattutto ad Exxon Mobil. Qui Engine no.1, un piccolo ma agguerrito fondo attivista, titolare di una partecipazione pari a meno dello 0,1% del colosso statunitense, è riuscito a fare leggere tre suoi rappresentanti in consiglio di amministrazione. Engine no.1 ha evidentemente raccolto il supporto di grandi soci come Vanguard o Blackrock, sulla base di un programma molto più ambizioso in tema di politiche ambientali.
La prima mossa dei nuovi consiglieri è stato di chiedere alla compagnia di diminuire la produzione di greggio. Atteggiamento insolito visto che in sostanza si chiede al gruppo di cui si è soci di diminuire i suoi ricavi. Ma che trova una giustificazione in una prospettiva a più lungo termine, con fiumi di denaro pubblico stanziati da Usa ed Europa (che queste compagnie possono in parte intercettare) per favorire lo sviluppo di fonti rinnovabili. Lo scorso 18 maggio ha destato sorpresa il rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) che suggerisce di interrompere immediatamente qualsiasi finanziamento per l’utilizzo di fonti fossili. Questo sarebbe l’unico modo per riuscire a raggiungere dei risultati ambientali significativi entro scadenze ragionevoli. L’invito stupisce perché l’Agenzia è espressione della stessa industria petrolifera e per la prima volta assume una posizione così radicale.