Nelle carte delle varie inchieste che hanno portato ad azzerare il ‘Sistema Capristo‘ sia a Trani che a Taranto, il suo nome compare sempre: ne parlano gli indagati, serve agli inquirenti per inquadrare le vicende su cui indagano. Stessa storia per il suo primo romanzo, Frammenti di storie semplici, in cui sono raccontati gli intrallazzi e i giochi di potere di un ufficio giudiziario in provincia di Bari. Lui è Roberto Oliveri del Castillo, napoletano, magistrato, dal 2000 al 2013 a Trani, poi a Bari. Per molti, i fatti narrati dal giudice-scrittore sono vicende di cronaca vera, riguardano i pm poi arrestati e le loro vittime. Il diretto interessato ha sempre smentito: “Fatti e nomi sono di pura fantasia. Chi vi si volesse riconoscere commetterebbe solo un inutile peccato di vanità”, scrive nelle prime pagine, rispolverando la frase arcinota di Andrea Camilleri. Roberto Oliveri del Castillo non ha mai voluto parlare con la stampa. Lo fa oggi per la prima volta. Ha deciso di rispondere alle domande de ilfattoquotidiano.it anche perché nelle carte di Potenza che hanno portato all’arresto di Piero Amara e all’obbligo di dimora per Carlo Maria Capristo c’è un fatto nuovo: secondo il gip, il potere anche intimidatorio dell’ex procuratore di Trani e Taranto è confermato dal fatto che Oliveri del Castillo “per denunciare siffatto malcostume ricorre ad un simile forma di comunicazione per poi passare a denunciare siffatti episodi in modo chiaro e lineare solo quando uno dei protagonisti di quel contesto, il più potente, viene arrestato“. Insomma, c’è una sorta di prima verità giudiziaria: quei fatti raccontati dal giudice non erano inventati, accadevano realmente, nel tribunale di Trani.
Nelle carte della Procura di Potenza è scritto che lei non poteva denunciare perché intimidito dal potere di Capristo.
Se fossi stato intimidito non avrei neanche scritto il libro, che ha avuto conseguenze non belle per me a livello ambientale. Ad essere intimiditi erano avvocati e persone comuni che venivano a raccontarmi i fatti che succedevano. Io li ho messi nel libro e ho dato forma di romanzo.
E perché non ha denunciato?
Non potevo denunciare: erano vicende accadute che potevano destare in me dei sospetti oppure erano confidenze di persone che non avrebbero mai confermato quei fatti davanti all’autorità. Le denunce vanno argomentate con le prove e io non ho mai avuto alcuna prova.
Quindi mi sta dicendo che lavorare a Trani con Capristo procuratore capo era normale?
Ho lavorato bene con alcuni bravissimi pm. Con altri era molto più complesso: si intravedevano troppe logiche strane per un dialogo tra gip e pubblico ministero, specie in procedimenti dove c’erano interessi economici molto forti.
A cosa si riferisce?
Nella mia attività ho notato che in alcuni procedimenti su aziende molto ricche e istituti bancari c’erano indagini e procedimenti molto discutibili. Ma non competeva a me fare certe valutazioni.
Faccia un esempio.
C’era una grande impresa di ristorazione dedita al catering di altissimo livello, la Guardia di Finanza di Bari aveva scoperto una imponente attività di evasione fiscale. Stranamente la sala banchetti non veniva sequestrata e ci si limitava a chiedere misure cautelari per funzionari di banca, alcuni anche in pensione, che non convinsero i finanzieri. E neanche me, che infatti rigettai quelle richieste.
Lei dopo un anno dall’uscita del suo libro ha subito un procedimento disciplinare.
Per certi versi inspiegabile. E nonostante una richiesta di archiviazione dal procuratore generale corredata da 8 pagine di motivazioni, la commissione disciplinare del consiglio presieduta dall’avvocato Leone e con Palamara al suo interno, ha deciso di mandarmi a giudizio. Poi è stata accolta la richiesta di archiviazione. Mi è sembrato un disciplinare un po’ strano.
Un avvertimento?
Queste cose con me non attaccano. Forse è stato un eccesso di zelo senza un briciolo di motivazione a fronte dei motivi del pg a sostegno dell’archiviazione. Che poi invece convinceranno la commissione presieduta dall’onorevole Legnini. Le conseguenze peggiori le ha subite mia moglie, Pubblico Ministero onorario a Trani, sottoposta al potere organizzativo di Capristo. Dopo l’uscita del racconto è stata estromessa per alcuni anni dall’organizzazione delle udienze monocratiche. Si è colpito lei per dare un segnale a me, impedendole di vedere quello che succedeva in alcuni fascicoli. Altro che avvertimento.
Quando ha capito che il Sistema Trani era diventato anche il Sistema Taranto?
Ebbi il sentore che a Taranto si stavano riproducendo “logiche tranesi” quando alcuni amici avvocati mi fecero presente che c’erano avvocati di altri fori che mostravano una particolare amicizia col procuratore e pertanto acquisivano numerosi incarichi professionali importanti. Per me non ci volle molto a fare 2+2.
Nell’inchiesta sul Sistema Trani lei era l’unico magistrato che aveva denunciato certe cose. Nell’indagine della Procura di Potenza sui fatti di Taranto sono almeno una mezza dozzina coloro i colleghi che come lei hanno denunciato. È un caso?
Questo significa che a Trani c’erano anche persone perbene. Per me come gip non è stato facile, ma per un pm lavorare con quel clima di diffidenza reciproco e quel contesto poco chiaro, lavorare era difficilissimo. Io personalmente ho chiesto il trasferimento due anni prima della scadenza del termine, i pubblici ministeri hanno fatto praticamente lo stesso per non continuare a lavorare in un clima di enorme criticità, dove non si sapeva cosa facessero determinati pm.
Secondo lei quanto ha influito in situazioni come quella di Taranto o Trani la riforma Mastella sulla gerarchizzazione delle procure? Quanto è stato un male?
Una riforma che imposta rapporti più rigidi tra procuratore e sostituti non è necessariamente un male. Perché comunque c’è una responsabilità all’interno di un ufficio e va ben ripartita. Il problema è chi la deve gestire questa responsabilità, perché ci sono procuratori che lavorano alacremente per creare un clima positivo e procuratori che – lo dice la cronaca – pensano ad altro. Anche qui è evidente che la qualità personale è determinante. Una procura gerarchizzata con a capo un Giancarlo Caselli o un Armando Spataro sarebbe auspicabile per tutto. Quando la qualità personale è diversa, beh, è ovvio che quella gerarchizzazione è un male. Perché poi anche i poteri che devono essere utilizzati per controllare rischiano di essere utilizzati per lasciar fare.
Il problema è anche della geografia giudiziaria?
I piccoli uffici devono essere gestiti bene e in maniera diversa proprio per evitare che poi ambiscano al ruolo colleghi con attitudini non all’altezza della situazione.
Cosa deve fare il Csm?
Essere molto più attento nella valutazione dei curricula dei candidati e fare analisi più approfondite ed evitare criticità che fanno capolino e che spesso non si vogliono vedere. Parlo di nomine apicali e di quelli di dirigenti che sono a stretto contatto con i vertici. Ci vuole una maggiore qualità nel lavoro del Consiglio Superiore, da cui dipende la qualità dei vertici delle procure. È evidente: serve un recupero della qualità degli anni passati. E non si può distogliere l’attenzione quando si parla di piccoli uffici, perché non ci sono cittadini di serie a e cittadini di serie b: il dirigente in gamba non deve andare per forza a Milano, Napoli o Palermo, l’articolo 3 della Costituzione è molto chiaro. Quanto alla composizione del Csm, bisogna fare più attenzione nelle candidature dei togati, e votare persone professionalmente attrezzate e stimate al di là di ruoli associativi, spesso usati come trampolini di lancio. Mentre per i non togati va fatta attenzione alla carriera scientifica. Sta accadendo che vengono elette persone solo per meriti politici, senza alcun merito scientifico. La Costituzione non dice esattamente questo.
Non sempre avviene: i casi di Trani e Taranto sono lì a dimostrarlo.
Mi allarmano certe logiche di scelta dei capi degli uffici. C’è la necessità di ripristinare un’immagine positiva e bisogna solo lavorare bene. Per il futuro sono convinto che i soggetti istituzionali faranno il lavoro con logiche diverse rispetto a quelle degli anni passati.