Alcune settimane fa c’è stato un brusco risveglio per le grandi compagnie energetiche. Alla Exxon Mobil, gli investitori azionari hanno nominato nuovi membri del consiglio di amministrazione, dimostrando, almeno sulla carta, una maggiore predisposizione alle tematiche sul clima. Alla Chevron, il rimprovero degli azionisti ha portato ad una formale richiesta di ridurre le emissioni nell’uso finale dei suoi combustibili. Nei Paesi Bassi, il tribunale civile ha stabilito che la Shell dovrà ridurre le proprie emissioni di gas serra del 45% rispetto ai livelli del 2019, entro il 2030. La causa portata avanti da 17.000 cittadini olandesi ha segnato un passo importante: per la prima volta un’azienda è obbligata per legge ad allineare le sue politiche con gli Accordi di Parigi sul clima.
Sulla stessa linea, l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) afferma che condurre i paesi verso l’obiettivo zero emissioni nette entro il 2050 significa porre fine ai nuovi giacimenti di petrolio e gas. Ora ci sarà da vedere se a queste dichiarazioni seguiranno fatti concreti, ma è d’obbligo crederci e stare col fiato sul collo di questi colossi, affinché non deviino da quel percorso che ormai deve essere considerato obbligato. La sostenibilità deve diventare, e non solo a parole, la nuova normalità.
Cosa succederà per le cosiddette politiche di “breve termine”? Mentre l’intero settore è alle prese con la sfida del passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, la Danimarca fornisce elementi incoraggianti per spingere in questa direzione.
Nel 1974, la Danish oil and natural gas company (Dong) è stata fondata come azienda energetica statale al 100%. Nel 2006, dopo la fusione di sei società elettriche, il portfolio della società era basato per l’85% sui combustibili fossili, rendendola una delle società a più alta intensità di carbone, e quindi di carbonio, in Europa, nonché responsabile di circa un terzo delle emissioni danesi. Nel 2019, appena due anni dopo il cambio di nome in Ørsted, un nuovo modello di business, più votato verso la sostenibilità, ha portato ad un portfolio del 90% di energie rinnovabili e ad una capitalizzazione di mercato raddoppiata.
Attualmente, l’azienda rimane per il 50,1% di proprietà statale e ha fissato l’obiettivo di neutralità carbonica entro il 2025 per il proprio settore di produzione energetica, e la totale neutralità climatica per l’intera catena di fornitura entro il 2040, in linea con l’obiettivo di 1,5°C degli Accordi di Parigi. Ma sono certo che questi obiettivi verranno rivisti, in meglio, per il nostro pianeta. Non appena ci si renderà conto che non vi è una strada alternativa.
Per la terza volta consecutiva, la Ørsted ha ricevuto un riconoscimento come azienda energetica più sostenibile al mondo. La stessa Agenzia danese per l’energia lo certifica attraverso anche un nuovo rapporto, dal titolo eloquente: “From black to green: a Danish sustainable energy growth story” che approfondisce il percorso verso la sostenibilità e il cambiamento in atto nel paese. Anzi, si spinge oltre, dichiarando che con il giusto quadro normativo non solo è possibile per le aziende energetiche passare all’energia verde, se intendono rimanere competitive, ma risulterà vitale.
Le tendenze del mercato nel 2020 lo mostrano chiaramente, visto il già citato raddoppio della capitalizzazione di mercato dell’azienda in due anni. Allo stesso tempo, le principali compagnie petrolifere e del gas europee iniziano ad impegnarsi verso obiettivi ambiziosi in materia di energie rinnovabili, ma ovviamente bisognerà vigilare con attenzione al fine di evitare il ben noto effetto greenwashing che, purtroppo, è sempre dietro l’angolo. L’aspetto interessante, lo ricordiamo, è che questa azienda energetica è a maggioranza di proprietà statale, evidenziando come, almeno questa volta, il pubblico è avanti al privato. I promotori di questo progetto non nascondono la loro ambizione di voler ispirare non solo i responsabili politici, ma anche altre aziende energetiche in tutto il mondo a intraprendere lo stesso percorso verso un’energia più verde.
Da diverso tempo, quindi, la Danimarca si pone tra i paesi che stanno trainando verso la transizione energetica sostenibile. Essa si colloca costantemente ai primi posti dell’Energy trilemma index del World energy council (Wec) in base alle sue prestazioni in termini di equità energetica, sostenibilità ambientale e sicurezza energetica. Inoltre, la Danimarca è classificata dall’Iea come il paese più avanzato nell’integrazione delle energie rinnovabili cosiddette variabili, con il 50% del consumo lordo di elettricità fornito da eolico e solare nel 2020.
Dall’esperienza danese si possono trarre utili suggerimenti, a partire dall’importanza di avere una situazione di stabilità con strategie commerciali chiare. È, inoltre, importante dare il giusto peso alla pianificazione energetica, ai progetti dimostrativi, agli incentivi economici, alla concorrenza, alle autorizzazioni e alla riduzione dei rischi, al fine di incentivare e, soprattutto, facilitare il passaggio all’energia verde. Quindi, è necessaria una pianificazione energetica che sia di lungo termine, trasparente, stabile e, in particolare, sostenuta da un’idonea legislazione attraverso riforme concrete per facilitare il processo decisionale, nonché chiare strategie per aziende e investitori.
In definitiva, quasi tutto il contrario di quanto visto finora in Italia: c’è quindi molto spazio per migliorare nel nostro paese!