La ministra della Giustizia in audizione in commissione Antimafia torna anche sull'ergastolo ostativo sulla cui discussione però rimanda al Parlamento
La legge sui pentiti va bene così com’è. A dirlo è la ministra della Giustizia Marta Cartabia, intervenuta oggi in commissione Antimafia. La presa di posizione della guardasigilli segue le polemiche sollevate in particolare da Matteo Salvini dopo il ritorno in libertà del boss Giovanni Brusca, scarcerato dopo 25 anni. “Non sono insensibile al dolore dei familiari delle vittime” ha detto Cartabia, ma la norma sui collaboratori di giustizia è “da preservare”. La ministra ha sottolineato “l’importanza del contributo fornito dai collaboratori di giustizia” che “si è storicamente rivelato assai rilevante”, evidenziando d’altra parte l’importanza dei riscontri a supporto delle dichiarazioni dei pentiti. E’ la posizione espressa da tutti i più importanti magistrati antimafia, da Piero Grasso a Gian Carlo Caselli, e anche da Maria Falcone, la sorella del giudice ucciso nell’attentato di Capaci.
Cartabia si è soffermata anche sul tema dell’ergastolo ostativo, rimandando tuttavia la discussione per una riforma al Parlamento, come chiesto dalla Consulta. “Stavolta il Parlamento non dovrebbe mancare l’occasione di raccogliere l’invito della Corte Costituzionale a rimuovere i profili di incostituzionalità per scrivere nuove norme che tengano in considerazione le peculiarità del fenomeno mafioso e della criminalità organizzata”. Occorre “evitare che siano assimilati al trattamento” dei detenuti comuni e “si potrebbero prevedere specifiche condizioni e procedure per l’accesso alla liberazione condizionale, più rigorose di quelle applicabili a altri detenuti” ha aggiunto la ministra. Al momento, ha aggiunto, sono 753 i detenuti sottoposti al 41 bis, il regime del carcere duro. Le donne sono 13. Sei di loro hanno chiesto di fruire dei permessi premio, solo uno del circuito di alta sicurezza, “ma nessuno lo ha ottenuto”.
E poi le questioni del Recovery plan e delle misure di protezione di fronte alle possibili “aggressioni” della criminalità organizzata nei confronti degli aiuti economici in arrivo dall’Unione Europea. “La criminalità organizzata è attratta da facili sorgenti di ricchezza – afferma la ministra della Giustizia – Non possiamo consentire che i fondi del Recovery finiscano nelle mani sbagliate e l’intervento sia inquinato da interessi illeciti”. Ugualmente alta dovrà essere la soglia di attenzione sulla corruzione: “I poteri di indirizzo e vigilanza dell’Anac non saranno intaccati. E cito parole recentemente sottolineate da Palazzo Chigi”. Un tema su cui negli ultimi giorni si erano registrati i dubbi del M5s e in particolare del leader in pectore, l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che si era detto “preoccupato”.
La ministra ha partecipato oggi anche alla seduta con interrogazioni a risposta immediata alla Camera, una delle quali ha sollevato in particolare il caso recente dell’avviso di garanzia alla sindaca di Crema Stefania Bonaldi, indagata per un incidente avvenuto ai danni di un alunno in una scuola, fatto che aveva suscitato le proteste di molti sindaci d’Italia, a partire dal presidente dell’Anci Antonio Decaro. Per la ministra Cartabia occorre “restituire ai fondamentali passaggi dell’iscrizione della notizia di reato, e della comunicazione che ne viene fatta all’indagato, il significato di tutela che gli è proprio” mentre oggi “nei fatti, la comunicazione all’interessato dell’avviso di garanzia spesso diviene di dominio pubblico e rischia di innescare di un meccanismo di stigmatizzazione sociale, a detrimento, anziché a vantaggio, della persona destinataria”. Il nodo dell’avviso di garanzia sarà affrontato nella riforma del processo penale, che “spero sia al più presto all’esame del Parlamento“.
Più in particolare, ha detto ancora, “il se e il quando dell’iscrizione della notizia di reato da parte dell’autorità procedente devono essere oggetto di attenta ponderazione, affinché l’istituto non tradisca la sua finalità. Occorre evitare che all’iscrizione si proceda sulla base di considerazione soltanto formali”. Già oggi è previsto che l’iscrizione nel registro degli indagati avvenga “solo rispetto a soggetti che si possono individuare come responsabili della commissione del reato”. Ma per evitare gli” effetti paradossali” che comunque si producono con l’attuale disciplina, la Commissione Lattanzi incaricata della riforma del processo penale ha presentato anche proposte che intervengono sui presupposti dell’iscrizione, in linea con gli sviluppi della giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale richiede “specifici elementi indizianti” e non “meri sospetti” per l’iscrizione.