Da due giorni gli spogli procedono a rilento. Con il 50,20%, l’insegnante marxista prevale di poco più di 70mila voti sulla figlia dell’ex dittatore, ferma al 49,79%. E mentre i sostenitori di entrambi i candidati manifestano nelle strade, sui media prosegue una martellante campagna anticomunista
Dopo quattro giorni ancora non si conosce l’esito ufficiale del ballottaggio in Perù. Pedro Castillo, candidato di sinistra del partito Perú Libre, vede la vittoria contro la candidata di destra Keiko Fujimori, del partito Fuerza Popular. Con il 50,20%, l’insegnante marxista prevale di poco più di 70mila voti sulla figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, ferma al 49,79%. Ma la questione, a questo punto, è capire quando verrà proclamato il vincitore. Se l’esito del voto, avvenuto domenica 6 giugno, sembra ormai assodato, quello che tarda ad arrivare è il completamento dello spoglio, abbondantemente sopra il 99%. Il conteggio dei voti da parte dell’Onpe (l’Ufficio elettorale dei processi elettorali), infatti, procede a rilento da almeno due giorni. Un ritardo snervante, dovuto sia all’arrivo dei voti dall’estero e dalle zone più periferiche del Paese, sia alla contestazione di diverse schede.
In tutto ciò, Castillo si è proclamato vincitore, ricevendo le congratulazioni di leader e partiti di sinistra di vari paesi. Da Evo Morales al Partito dei lavoratori del brasiliano Lula, passando per lo spagnolo Podemos. Allo stesso tempo, però, il maestro andino ha invitato i suoi sostenitori a “non cadere nelle provocazioni di chi vuole vedere questo Paese nel caos”, appellandosi “alla pace e alla tranquillità”. Dall’altro lato, Keiko Fujimori, quasi ufficialmente sconfitta anche questa volta – il ballottaggio le è stato fatale anche nel 2011 e nel 2016 – non accetta l’esito delle urne e grida ai “brogli”, chiedendo l’annullamento di centinaia di migliaia di schede. Brogli di cui non ha fornito prove, anzi. Secondo diversi osservatori internazionali – come l’Unione interamericana degli organismi elettorali (Uniore), composta di magistrati e funzionari degli organi elettorali di dieci paesi latinoamericani – il ballottaggio “è stato organizzato correttamente e con successo”. “Si danneggia la democrazia parlando di brogli che non esistono”, ha rincarato Jorge Luis Salas, presidente della Jne (la Giuria nazionale elettorale).
Una situazione potenzialmente esplosiva, dato che già alla vigilia il confronto tra i due candidati – espressione di due mondi opposti – aveva polarizzato il dibattito, dividendo il Paese. Da una parte il voto andino, rurale e di periferia, soprattutto da parte dei meno abbienti, a favore del maestro elementare ed ex leader sindacale Castillo. Dall’altra il sostegno alla conservazione da parte della Lima metropolitana, delle zone agiate e della destra a favore della leader populista Fujimori, che ha disatteso la sua promessa di accettare l’esito del voto qualunque esso fosse.
Lo stallo – per quanto in Perù non sia una vera novità il ritardo nello spoglio – assume implicazioni ulteriori, dal momento che il clima nel Paese è tutt’altro che tranquillo. Sostenitori di entrambi i candidati manifestano per le strade, qualche incidente si è già verificato. Ma il vero punto di domanda è capire se i rituali della democrazia verranno rispettati fino in fondo. Lo stesso monsignor Pedro Barreto, cardinale peruviano, si è appellato “all’unità” e al “rispetto della democrazia”, invitando tutti ad “attendere e rispettare i risultati ufficiali”. Appello reso necessario dalle bordate che i sostenitori della Señora K stanno lanciando contro il partito di Castillo, invitando senza troppi complimenti i militari a fare un colpo di stato.
Nulla di tutto ciò è avvenuto, anche se il portavoce di Fuerza Popular Fernando Rospigliosi ha invitato a “difendere il voto con fermezza ed energia di fronte alle minacce e alla prepotenza dei soci di Sendero Luminoso”, associando i socialisti di Perú Libre al gruppo guerrigliero di sinistra in modo piuttosto rocambolesco. Un’accusa ricorrente tra gli avversari di Castillo, che sui media tradizionali stanno trovando manforte, vista la martellante campagna anticomunista ancora in atto, volta a screditare il probabile prossimo presidente del Perù. Non a caso, è stato l’ex capo del comando congiunto delle forze armate Jorge Montoya Manrique a mettere in guardia sull’aut aut tra “vivere in democrazia o sotto il comunismo”. Dalle campagne, intanto, i contadini hanno raggiunto Lima, decisi a “difendere il voto” pro Castillo. Gli appelli alla calma funzioneranno?