Qualcuno si chiederà come mi viene in mente di parlare di inflazione proprio in un momento in cui di soldi in giro ce ne sono molti meno di quello che servirebbe a sostenere almeno una parvenza di ripresa economica dopo un anno e mezzo di “purghe” terribili per tutti quelli che non possono godere di un reddito fisso.
È vero, qui in Europa siamo ancora alla “vigilia” di quello che un po’ pomposamente è stato chiamato “Next Generation Fund”, con annessi e connessi sostegni all’economia ferocemente colpita dall’invisibile ma mortale virus Covid-19. Ma negli Stati Uniti (che sono ancora il “faro” dell’economia globale) non è così: i 1.900 miliardi di dollari stanziati dal Governo Usa in accordo con la Banca Centrale (su questi aiuti i due presidenti, Donald Trump e Joe Biden, a cavallo di questo periodo, facevano addirittura a gara a spendere di più, frenati solo dal Senato a guida Repubblicana) hanno già dato ottimi risultati sulla liquidità circolante, ed è ora imminente l’avvio della fase più importante, quella che riguarda le grandi spese nelle “infrastrutture”.
Ancora una volta sono i repubblicani a fare la parte dei “controllori” della spesa, anche se non sono più in maggioranza al Senato (ma sono pur sempre alla pari: 50 Dem contro 50 Gop); tuttavia, quando può servire, può intervenire la senatrice Kamala Harris, vicepresidente Usa, a dare partita vinta ai democratici. Il suo voto in Senato vale doppio in caso di parità. Non basta però sulle decisioni importanti, quando occorre una maggioranza qualificata.
Il Nobel per l’Economia, Joseph Stiglitz, nel suo The inflation red herring (il falso allarme inflazionistico) denuncia il solito allarmismo, nato dall’ansietà dei mercati finanziari, inevitabile di questi tempi, come pretesto dei repubblicani per mettere come al solito i bastoni tra le ruote agli avversari democratici. Normale contrapposizione politica, si potrebbe dire, solo che stavolta hanno trovato un Biden molto più esperto politicamente di Obama a contrastarli, e hanno ancora in Trump un alleato per niente affidabile.
Naturalmente il pericolo dell’inflazione non è che sia solo un’invenzione romanzesca utile solo a riempire qualche pagina di giornale: è un pericolo reale, sono noti i disastri economici che può generare la svalutazione della moneta di riferimento quando qualcuno pensa di moltiplicare il tesoro semplicemente stampando moneta, ma non è certo un laureato col premio Nobel a fare certi errori marchiani. La preoccupazione nasce dal popolarissimo criterio di mettere a confronto il Debito Pubblico (in forte crescita attualmente) col Prodotto Interno Lordo (Pil) il cui parametro ottimale è attorno al 60% (comunque non dovrebbe mai superare il 100%).
Essendo tuttora il comparto produttivo molto al di sotto di quello pre-Covid, il timore è che tutta quella liquidità immessa in circolo possa appunto creare lo scompenso debitorio che finisce col generare inflazione e subito dopo nuovo debito per coprire la perdita di valore della moneta. A grandi linee è proprio così, ma questo è un modo banalmente matematico (anzi, da “pallottoliere”) di valutare l’economia di un paese. L’economia americana è una grande economia e a guidarla attualmente c’è Janet Yellen, considerata, anche da Stiglitz, tra i migliori economisti a livello globale. Lei sa perfettamente fin dove si può allargare la “borsa” e dove bisognerà invece cominciare a tirare i freni.
Dello stesso avviso è anche Paul Krugman che addirittura entra più in profondità nella discussione, riprendendo un suo precedente studio in cui “pesa” l’inflazione a seconda di come si è formata, come è composta, con quali mezzi e in quanto tempo la si vuole combattere, quindi nel suo articolo The case for Supercore Inflation dimostra come sia possibile dalle banche centrali tenere sotto controllo il rischio di inflazione bilanciando attentamente gli interventi utili, ricordando al proposito che alcuni di questi interventi sono già stati sperimentati con successo.
Lui stesso cita Paul Volcker e il suo metodo di trattare i diversi tipi di inflazione nel modo adeguato. Gli aumenti di prezzo non avvengono tutti allo stesso modo. I materiali, la manodopera e altri comparti intervengono sull’inflazione in tempi abbastanza lunghi (un anno o più). Gli alimentari, i prodotti da banco e il petrolio invece cambiano il prezzo molto più rapidamente. Quindi tenendo separate queste variabili si può controllare più facilmente il pericolo peggiore, per esempio quello della “stagflazione” (stagnazione e inflazione in contemporanea), intervenendo in questi comparti nel momento giusto ed evitando così il pericolo di un fenomeno inflazionistico che tende a perpetuarsi.
Del resto si può farsi del male anche quando si esagera con la troppa prudenza, come ha fatto Jean-Claude Trichet quando, nel 2010, ha portato l’Europa in recessione solo per la paura di far partire un po’ di inflazione. Qualche mese dopo è arrivato Mario Draghi a tappare il buco, ma ormai il danno era fatto. Questa però è una materia nella quale non sono ammessi certi errori. Le persone capaci ci sono, la responsabilità è della politica.