Criticità procedurali e di contenuto“. Con questa motivazione il materiale fornito dal pm Paolo Storari – riguardante alcune chat che avevano come protagonista l’avvocato Vincenzo Armanna, figura con un doppio ruolo nel processo Eni-Nigeria – non è entrato a far parte del processo sulla corruzione internazionale. E quanto emerge in una nota di 11 pagine che i titolari dell’inchiesta hanno consegnato al procuratore di Milano Francesco Greco e alla stessa procura di Brescia che indaga sul procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro per omissione in atti d’ufficio.

L’iscrizione dei due magistrati risale a una decina di giorni fa, dopo l’interrogatorio del pm Storari, anche lui indagato a Brescia per il caso dei verbali dell’avvocato Piero Amara, ex legale esterno di Eni già condannato per corruzione in atti giudiziari e nuovamente arrestato due giorni fa. L’indagine “riguarda la questione delle prove all’interno del processo” sulla presunta maxi tangente pagata da Eni in Nigeria, che si è concluso con le assoluzioni di tutti gli imputati. Armanna, ex manager licenziato dalla compagnia petrolifera italiana, è poi diventato grande accusatore e valorizzato per le sue dichiarazioni dai pm.

Stando alle motivazioni dei giudici nel processo per il caso Eni/Shell-Nigeria è emersa la “volontà di Armanna di ricattare i vertici Eni, lasciando chiaramente intendere a Piero Amara che le sue dichiarazioni accusatorie avrebbero potuto essere modulate da eventuali accordi, facendo un chiaro riferimento a Descalzi”. Inoltre per i giudici Armanna avrebbe orchestrato “un impressionante vortice di falsità” per “gettare fango”. I pm di Milano, secondo l’ipotesi della procura di Brescia, pur avendo la consapevolezza della falsità delle prove portate da Armanna alla pubblica accusa, avrebbero omesso di mettere a disposizione delle difese e del Tribunale gli atti su tale falsità, nel corso del dibattimento sul blocco petrolifero Opl245. Atti che erano stati trasmessi dal pm Paolo Storari, relativi a un versamento di 50mila dollari da un conto dello stesso Armanna a un teste, Isaak Eke. Il tema dell’indagine è, secondo la procura di Brescia, quello di prove asseritamente false non messe a disposizione del Tribunale. Ipotesi, comunque, “tutte da verificare”.

Nella “nota” di 11 pagine di di De Pasquale e Spadaro, inviata i 5 marzo a Greco ma anche all’aggiunto Laura Pedio, titolare del fascicolo sul ‘falso complotto Eni’ di cui si occupava all’epoca anche Storari, i due magistrati rispondono con una serie di valutazioni critiche ad una relazione, da loro definita “informale“, che era stata inviata da Storari a febbraio. Relazione nella quale era contenuto il materiale raccolto da Storari: in particolare alcune chat di Armanna che per lo stesso pm, che aveva inviato in precedenza diverse mail ai colleghi e ai vertici dell’ufficio, avrebbero dovuto essere depositate nel processo sul caso Eni-Nigeria.

Le critiche dei due pm, a quanto si è appreso, hanno riguardato soprattutto la “legittimità procedurale” nell’acquisizione di quelle chat nell’inchiesta sul ‘falso complotto‘ da parte di Storari. In più, comunque, quel materiale, come ha scritto Greco ieri in un comunicato, era “informale” e “oggetto di indagini ancora in corso”. Tra l’altro, se in una chat, dialogando col teste Isaak Eke, Armanna parlava di 50 mila dollari non è certo, viene chiarito in ambienti giudiziari, che si riferisse ad un presunto pagamento per la sua testimonianza, ma potrebbe aver fatto riferimento ad un file che gli interessava. Da quello che trapela dalle agenzie di stampa, infine, tra l’aggiunto De Pasquale e il pm Storari non ci sarebbe stata mai un’interlocuzione verbale su questi temi e nemmeno un vero scontro. Storari, però, tra fine 2020 e inizio 2021 ha inviato diverse mail a De Pasquale, Spadaro, Pedio e Greco per segnalare “anomalie” e avanzando perplessità sulla veridicità della testimonianza di Armanna, co-imputato e grande accusatore nella vicenda Nigeria.

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