di Vincenzo Camaioni
Tutte le crisi di democrazia (astensionismo, caduta di governi, rappresentanza democratica, promiscuità politica, eccetera) passano per legge elettorale e vincolo di mandato. Entrambi i punti sono cardini essenziali della rappresentanza in democrazia indiretta e, quindi, per la realizzazione del principio secondo cui in Italia la sovranità appartiene al popolo. La legge elettorale riguarda la sovranità prima del voto. Il vincolo di mandato riguarda la sovranità dopo il voto. Cioè, i pesi che i partiti vedono attribuirsi prima e quelli che “si attribuiscono” dopo il voto. Come si vedrà, i due aspetti si condizionano a vicenda.
Se sulla legge elettorale si conoscono pregi e limiti di uno o dell’altro sistema, sul vincolo di mandato, a mio parere, occorrerebbe porre delle limitazioni. Il vincolo di mandato nasce dall’ovvia e condivisibile motivazione secondo cui il mandato di rappresentanza lega l’elettore all’eletto, a cui il primo concede la propria fiducia: io voto il candidato, indipendentemente dallo schieramento di appartenenza, perché mi sento rappresentato da quel particolare soggetto, al di là del partito a cui lo stesso risulta iscritto o si iscriverà, perché so che quella persona ha il mio stesso pensiero politico.
Ma quando si frappone tra elettore ed eletto il partito politico, io “non vedo” più la persona con le sue convinzioni, motivazioni ed istanze morali; vedo solo il simbolo della lista di appartenenza a cui si associa un programma elettorale e rispetto al quale io penso che (verosimilmente e almeno inizialmente) il candidato si riconosca. È quel che accade banalmente con i listini bloccati (soprattutto nelle elezioni politiche dove, tra l’altro, il livello nazionale della chiamata alle urne non favorisce una prossimità politica elettore-eletto).
Se il principio allora è che l’eletto ha ricevuto “individualmente” il mandato dal corpo elettorale, giusto che valga il divieto di vincolo di mandato. Ciò sempre banalmente avviene con le preferenze: voto la persona, più che il partito. Se invece il voto è limitato alla scelta del listino bloccato, allora il corpo elettorale dà mandato al partito opzionato, con la forza e le percentuali che risulteranno dagli scrutini. Sono stati eletti 100 parlamentari con il partito X? Beh, allora quel partito dovrà avere sempre 100 componenti nell’alveo parlamentare nel corso della legislatura, proprio perché il popolo ha scelto (sovranità, dicevamo all’inizio) quella particolare lista e non la persona.
Per me la soluzione è quindi semplice, logica, lineare: vincolo di mandato per gli eletti in listini bloccati, divieto di vincolo per gli eletti con preferenze. Se i primi vogliono (legittimamente) cambiare partito di appartenenza, decadranno da parlamentari e saranno rimpiazzati dai primi esclusi del listino originario. Sarà così rispettata la volontà popolare. Se i secondi vogliono (sempre legittimamente) cambiare gruppo di appartenenza, lo potranno fare in forza del mandato “individuale” e non partitico ricevuto dagli elettori. Sarà così rispettata la volontà popolare. Semplice, logico, lineare… troppo forse.