Le primarie bolognesi del centrosinistra vedono competere per la candidatura a sindaco due giovani ma collaudati personaggi.
Matteo Lepore, esponente del Partito Democratico, attualmente assessore alla Cultura della giunta Merola, tessitore di un’intesa con la sinistra guidata da Emily Clancy nella coalizione civica, che ha raggiunto nelle precedenti elezioni il 7% ed è quotata, insieme alla Coraggiosa di Elly Schlein, oltre il 10%. Lepore è inoltre sostenuto da altri esponenti della sinistra storica come Vasco Errani e da Romano Prodi, da movimenti chiaramente orientati a sinistra come le note Sardine, protagoniste della vittoria alle regionali di Stefano Bonaccini.
La sfidante di Lepore è Isabella Conti, da due mandati è sindaco attualmente in carica del comune di San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna; appartenente ad Italia Viva di Matteo Renzi che l’ha candidata, ma dal quale lei afferma oggi di essersi affrancata per correre come figura indipendente. Conti riceve appoggi ed endorsement da alcuni importanti esponenti locali del Pd, collocati nell’area cosiddetta riformista o ex renziana – Alberto Aitini, Marco Lombardo, l’euro parlamentare Elisabetta Gualmini, Francesco Critelli (parlamentare ed ex segretario della federazione di Bologna) – dagli appartenenti al movimento di Italia Viva come l’assessore regionale Mauro Felicori, da alcune forze politiche come i Verdi (se pur all’uopo spaccati), dal movimento ambientalista Volt, da alcuni comitati di strada (piazza Verdi e via Petroni) ascrivibili promiscuamente a sinistra e a destra.
Insolitamente ma non troppo, a sostegno della Conti in questa convulsa campagna elettorale fatta di attacchi e contrattacchi molto duri tra i due candidati, sono intervenuti ripetutamente esponenti anche di altre formazioni politiche e di forze sociali ascrivibili a vario titolo al centrodestra moderato, o non moderato. Giancarlo Tonelli e Gianluca Galletti, di Bologna civica, che a febbraio avevano dichiarato di candidarsi con la Lega, all’annuncio della candidatura della Conti hanno repentinamente esternato il loro sostegno alla sindaca, non si sa però a che titolo, se in coalizione o come esterni.
Più recentemente altre realtà ascrivibili al mondo della destra, il comitato “No tram” e “Bologna viva” hanno espresso lo stesso sostegno alla Conti. Si tratta di comitati che si oppongono ad uno dei progetti più importanti per la mobilità su ferro cittadina, comitati che non hanno mai nascosto la loro ferma opposizione alla giunta Merola e l’intenzione di candidarsi contro il centrosinistra alle elezioni comunali. Cosicché si verrebbe a determinare una situazione secondo la quale la vittoria di un candidato o di un altro prefigurerebbe un rovesciamento radicale di alleanze oltre che di strategie.
Un paradosso per quelle che ufficialmente dovrebbero essere primarie di “coalizione”. Una coalizione che Lepore ha delineato firmando un accordo con Coalizione Civica in sette punti programmatici molto chiari e discriminanti, che però non impegnerebbero Isabella Conti, la quale, qualora avesse stretto accordi programmatici con le forze che la sostengono, questi potrebbero avere contenuti del tutto diversi se non opposti.
Un gruppo di urbanisti e ambientalisti conosciuti in città ha stilato un documento su punti importanti di programma, “2021-2031 Bologna sostenibile ed europea: sì ma come?” sottoponendolo ad entrambi i candidati per un eventuale confronto che potesse avvicinare le posizioni, ma finora non hanno ricevuto risposta. Tutto ciò mostra non solo un Partito democratico in grande difficoltà, ma soprattutto un partito estremamente diviso anche per il futuro, perché questa contesa non è solo tra due personalità che si contendono la leadership ma anche tra due ipotesi politiche radicalmente diverse.
Qui torna il dilemma irrisolto del rapporto e del legame del Pd con Renzi e con il “renzismo” che, lungi dall’essere risolto nonostante la separazione, riporta incessantemente dentro il partito un conflitto allo stato insuperabile. Non dimentichiamo che Renzi si affermò nel partito di cui divenne Segretario proprio attraverso le primarie, che vinse mobilitando forze molto lontane dal Pd e dalla sinistra, perfino con il sostegno esplicito di un esponente della destra come Verdini, un suo grande sostenitore. La trasversalità del disegno renziano, naufragato dopo la sconfitta referendaria cui seguì quella elettorale, non lo distolse da utilizzare l’influenza mantenuta sui gruppi parlamentari del Pd per far naufragare il governo di cui era parte.
Ora con il tentativo di Isabella Conti, volente o nolente espressione della sua visione politica e delle sue alleanze, si prefigurerebbe, nel caso di una sua affermazione, uno stravolgimento radicale del Partito democratico bolognese, oggi orientato ad un’intesa con sinistra e 5 Stelle, ma che domani sarebbe radicalmente sovvertito, per una linea politica del tutto diversa. Non è in sé questa una maledizione da tragedia greca, ma segna inequivocabilmente la necessità per il Pd di ridefinire a Bologna e non solo una fisionomia oggi sempre meno chiara e comprensibile, nonostante il nuovo segretario Enrico Letta si adoperi con anima e cacciavite.
Lo dimostra un altro caso emblematico e paradossale: a Rimini dove, al contrario di Bologna, ci sarebbero candidati del Partito democratico in grado di confrontarsi in un contesto di ben più sostanziale coesione politica, il gruppo dirigente locale decide di non far svolgere le primarie, perché uno dei candidati, peraltro una donna, Emma Petitti, godrebbe di un maggiore consenso elettorale, almeno stando ai sondaggi. Cosicché si decide unilateralmente di impedire l’accesso a un potenziale candidato vincente. La domanda sorge spontanea: ma esiste un criterio logico oltre che politico con cui questo residuo di partito compie le sue scelte? Sembra proprio di no!