In Uniche (in onda su Rai Premium, il mercoledì alle 23.15, e su Rai Play), intervista grandi donne dello spettacolo e della cultura virano in confessioni a cuore aperto. Dall'amore alla morte, passando per il suo rapporto con i social, la sua idea sul ddl Zan, la storia del suo brand e alcuni pareri: "Chiara Ferragni? Devo capire cos'è che non mi affascina in lei. Cher? L'unica che non si è fatta sopraffare dai 'ritocchi'..."
Dalla sua prospettiva speciale, quella di make-up artist di fama globale, Diego Dalla Palma ha truccato più di trentamila donne. Tantissime sconosciute, molte strafamose, tra cui Monica Vitti, Twiggy, Ornella Vanoni, Veruska, Patty Pravo, Mariangela Melato e Cher («l’unica persona al mondo a sopraffare la chirurgia invece che soccombere»). E proprio davanti allo specchio ha affinato la sua capacità di introspezione psicologica: dell’universo femminile sa tutto, o almeno molto, fragilità, conflitti interiori, determinazione, ossessioni e pulsioni. Forse per questo in Uniche (in onda su Rai Premium, il mercoledì alle 23.15, e su Rai Play), le sue interviste alle grandi donne dello spettacolo e della cultura virano in confessioni a cuore aperto. Dalla Palma non è un confessore laico, forse solo un intervistatore con due grandi doti: sa ascoltare chi ha di fronte – cosa rarissima in tv – e non giudica mai.
Che intervistatore è Diego Dalla Palma: un confessore laico o un curioso patologico?
Ho cercato la mia formula: più che fare domande, cerco un modo per entrare nell’anima di chi mi sta di fronte.
Ci riesce?
Dipende dal grado di disponibilità dell’intervistata a farsi leggere dentro.
Chi sono le Uniche che l’hanno colpita di più?
Rosalinda Celentano mi ha sorpreso. Si aspettava un intervistatore curioso e si è trovata di fronte un uomo tormentato che quasi cerca ristoro in questi incontri. E poi Caterina Guzzanti: me la sono portata addosso a lungo, mi ha spiazzato e dato tanto.
Ha realizzato decine di interviste tv negli ultimi vent’anni: chi l’ha delusa?
Ricordo solo due incontri poco gradevoli: quello con Florinda Bolkan e quello con Romina Power. Entrambe furono scostanti e consideravano ogni mia domanda una provocazione. Sarebbe stato meglio se fossero rimaste a casa loro.
Le ospiti come le sceglie?
In base a come le capto e alla curiosità. Molte vengono perché sono amiche di una vita, tante rifiutano perché abbiamo poco budget.
Chi vorrebbe intervistare?
Mi piacciono certe icone. Come Amanda Lear, Giovanna Ralli, Franca Leosini, Lisa Gastoni. Ma il mio sogno è Lea Massari: se fermo un quarantenne per strada e gli chiedo chi è, non sa rispondermi, in Francia invece ancora oggi è considerata e amata. Tra le giovani Madame, Matilda De Angelis e Micaela Ramazzotti.
Chiara Ferragni la incuriosisce?
C’è un interesse da parte mia per capire cos’è che non mi affascina di lei e soprattutto cosa c’è in lei di così interessante da averla trasformata in una star di questi tempi.
È riuscito a capire qual è il filo rosso che unisce le sue Uniche?
Il bisogno di essere amate e la fragilità. Tutte – anche quelle che mi hanno deluso, perché tre hanno palesemente recitato invece di rispondermi con sincerità – hanno un lato fragile molto potente. Non a caso cedono alla chirurgia e ai ritocchi.
In percentuale quante?
Il 50% di loro segue il percorso della ragione, l’altro cinquanta quello della fragilità. E una persona fragile che incontra un lupo mannaro si lascia irretire e va nella direzione sbagliata. Per soldi, cerchi chirurghi sono disposti a tutto.
Quante cadono nell’equivoco che apparire migliori significhi apparire più giovani?
Tutte. Il problema non è il ritocco in sé quanto l’omologazione.
Lei ha mai ceduto al fascino del ritocchino?
L’unica cosa che faccio, è farmi togliere le macchie della vecchiaia. Sono un vecchio che cerca di restare piacevole: mi lavo bene, mi profumo bene, ma non inseguo l’eterna giovinezza. Quella è solo un’illusione che genera ulteriori malinconie.
Lei è più malinconico o tormentano?
Entrambi, a fasi alternate. In certi momenti la malinconia è musica per il mio tormento, è una dolce compagnia che non ha nulla a che fare con la tristezza. Quanto ai tormenti, non riesco a sopirli: ci ho provato ma non ci sono riuscito.
E come ci ha provato?
Spesso con storie d’amore che si sono rivelate meri affetti passeggeri. L’amore ti resta dentro, l’affetto evapora. Io poi purtroppo ho un rapporto complicato con l’amore: sono pieno di difetti e il richiamo del sesso ha condizionato molte mie mie relazioni sentimentali.
È un traditore seriale?
Lo sono stato, perché il sesso è stato difficile da gestire. Oggi, per limiti di età, mi definirei un rispettoso traditore.
Ha amato o è stato più amato?
Sono stato molto amato da alcune persone che non potevo amare. In generale, ho avuto tre storie d’amore molto importanti: una con una donna, Anna, le altre due con due uomini che non vogliono che faccia il loro nome. Non ci sentiamo più e questo per me è un vuoto enorme: perché non avere contatti? Allora quello di un tempo non era amore.
È stato vittima di manipolazioni affettive?
Sì, purtroppo. Non mi sono accorto che alcuni uomini sono stati con me solo per ciò che potevo portare loro a livello di contatti sociali. L’ho trovato squallido.
Poi c’è un uomo che l’ha massacrata di botte, in casa, quattro anni fa.
Fu uno shock enorme, mi ha picchiato fino al punto di farmi perdere conoscenza.
L’ha denunciato?
Certo. Quell’uomo è stato denunciato ma grazie alla legge se ne sta tranquillamente in giro per l’Italia.
Ha paura di rivederlo, prima o poi?
No. Una sola cosa mi fa paura: lo stordimento, il non capire chi sono, il dipendere da altri. Se avessi delle avvisaglie in questo senso, farei una scelta precisa: andarmene.
Lei parla spesso di morte nelle sue interviste: perché?
Perché l’ho incontrata per la prima volta a sei anni, quando fui colpito da una meningite, ed è un mistero che mi affascina. «Mamma, sento che la morte mi aiuta a vivere», dicevo da bambino a mia madre. E lei mi guardava come se fossi uno scemo.
«La morte mi affascina perché la conosco», ha detto. E la vita?
Anche la vita mi affascina perché la conosco. Morte e vita hanno su di me la stessa identica presa. Vivo intensamente perché do valore alla morte, non è un tabù. Forse per questo sono abituato a mordere la vita a renderla meravigliosa col metodo, l’arguzia, la curiosità. Io posso dire di aver vissuto una vita meravigliosa: non ho rimpianti, non ho vissuto con paura.
Si considera coraggioso?
Lo sono stato al limite dell’incoscienza e del pericolo, e lo sono ancora oggi. Sennò non sarei sopravvissuto alle catastrofi che la vita mi ha messo davanti: ho conosciuto la morte, poi il bullismo più bieco alle elementari e alle medie per certi atteggiamenti effeminati che non mi venivano perdonati. Sono stato abusato per due anni in collegio da un prete e poi dopo, quando ho iniziato a lavorare, è stato complicato affermarmi. La violenza mi ha portato un disperato bisogno di affetto: appena captavo insicurezza, non mi sentivo all’altezza ed entravo nel panico. A un certo punto ho detto a me stesso: «Basta: ammazzati o reagisci». Ho reagito.
Oggi chi è Diego Dalla Palma?
Un uomo complesso, che a volte ha ancora un bisogno disperato di sentirsi amato e valorizzato, così come a mia volta provo a valorizzare e fare crescere certe persone che stimo o apprezzo. C’è in me una forma paternalistica che non credo mi appartenga ma che in qualche storia passata è emersa.
Lei parla spesso di sua mamma Agnese, cui ha dedicato anche un libro, e quasi mai di suo padre Ottavio. Chi era?
Era il papà della comprensione, dell’allontanamento dal pettegolezzo e dalla chiacchiera inutile. Era l’uomo dei silenzi. Da lui ho ereditato il senso della giustizia: era l’uomo più giusto del mondo. Sa che ho un grande rimorso quando penso a lui?
Quale?
Non averlo ascoltato e accarezzato a sufficienza. Non me lo perdono. Sono stato condizionato e condizionabile da mia madre, che mi ha diretto e amato a modo suo, e mi sono accorto di quanto valesse mio padre solo quando lui non c’era più.
A chi deve dire grazie per aver scoperto il suo talento artistico?
Il preside pugliese della mia scuola media e l’insegnante di disegno, Giovanni Scaramozzino e Maria Rosa Anglana. Nel disegno eccellevo, mentre per il resto era una catastrofe. «Ha un talento artistico, lo mandi a scuola», dissero a mia madre. Così lasciai la provincia di Vicenza e andai a studiare a Venezia. E poi a Corrado Mantoni, che qualche anno dopo mi protesse e mi fece da «padrino» all’inizio della mia carriera da costumista: ho lavorato con lui per dieci stagioni.
Il figlio di due pastori ha trasformato il suo cognome in un brand globale, tanto che il NY Times la definì «il profeta dal make-up italiano nel mondo». Che effetto le fa pensare a questa clamorosa parabola?
Mi suscita orgoglio per avere fatto tante cose, tutte costruite con attenzione e una professionalità maniacale. Ero così anche a vent’anni, quando iniziai a fare il costumista, e lo sono ancora oggi. Non ho mai fatto nulla a caso. E poi mi suscita consapevolezza, perché so che tutto è niente. Me lo disse Mario Rigoni Stern: «Diego, quando arriverai alla fine della tua vita, capirai che tutto è nulla». Me ne accorgo ogni giorno.
Da che cosa?
Dal fatto che siamo un paese un po’ cialtrone, che non valorizza le cose che ci hanno lasciato. Non tributiamo nemmeno il doveroso omaggio a personalità straordinarie come Milva o a Carla Fracci, tanto per fare due esempi recenti. Cosa vuole che resti di me? Nulla.
Lei era amico di entrambe.
Carla proprio a Uniche mi raccontò nel dettaglio come avrebbe voluto che fosse il suo funerale. La Rai aveva in casa questo documento e nemmeno per sbaglio lo ha mostrato in questi giorni.
Un ricordo di Milva?
Una sera a Berlino: per gli applausi a scena aperta, stava venendo giù il teatro. Cioè, questa donna è partita da un paesino con sette case in mezzo alla campagna piatta, nebbia e zanzare, e ha calcato i teatri di tutto il mondo. Sa in quanti eravamo alla messa in suffragio, a Goro, poche settimane fa? Venticinque persone. L’Italia è un paese ingeneroso.
Per cosa vorrebbe essere ricordato quando non ci sarà più?
Per il mio spirito libero. Ma siccome, ripeto, ho consapevolezza che di me si dimenticheranno tutti molto presto, provo a farmi rispettare adesso, nel presente. E in mezzo all’ovvio e alla banalità in cui siamo immersi, io coltivo la mia atipicità.
Tornado al suo brand e ai cosmetici che portano il suo nome, lei segue i progetti in prima persona?
A distanza, perché sono in ottimi e fiduciosi rapporti reciproci. Ho fatto una scelta dolorosa: il marketing odierno ha il suo percorso che necessariamente non deve essere simile al mio. Il mercato cosmetico è convulso, nevrotico e per questo ne sto fuori. Seguo delle strategie per essere me stesso in altri modi, porto avanti un mio percorso.
Dunque avrebbe fatto altre scelte?
Forse sì. Ma l’atipicità non va molto d’accordo con il marketing.
Che idea si è fatto delle linee maschili di trucco, dagli smalti di Fedez a quelle realizzate da diversi marchi mondiali?
Il trucco da uomo ha un suo perché in relazione a due necessità: migliorare il proprio aspetto e accentuare un istinto e un animo artistico. L’importante è non scimmiottare gli altri e avere una propria identità e autonomia di pensiero. E lo stesso vale anche per le donne.
Li frequenta i social?
Mi sono affidato a un gruppo di giovani dinamici e preparati. Lì mi tolgo qualche sfizio: non ho risvolti commerciali e posso esprimermi come meglio credo.
Che impressione le fa il dibattito sul Ddl Zan e i rigurgiti di omofobia cui assistiamo in queste settimane?
Questo odio rispetto al fatto che uno abbia natura diversa, mi spaventa. Mi spiace essere tranchant ma penso che non ne usciremo mai: accade oggi ciò che accadeva a me sessant’anni fa, capisce quanto è radicato l’odio in questo paese? E i social purtroppo hanno acuito malesseri e violenza verbale. Non vedo spiragli.
È favorevole alla legge Zan?
Assolutamente sì. Ma gli omofobi, che sono dei perdenti alla ricerca disperata di dare un senso ai loro fallimenti esistenziali, continueranno ad esistere fino a quando non ci sarà una profonda rivoluzione culturale.
Che impressione le fa Platinette, che invece è contraria alla legge?
L’ho trovato sorprendente, sono sincero. E mi stupisce che un uomo colto e intelligente si lasci così spesso sopraffare dal suo lato vanesio.
Tornando al suo lavoro, lei ha truccato le più grandi star italiane e mondiali: mi dice l’incontro che le è rimasto addosso?
Quello con Amália Rodrigues, la regina del fado. C’è stato qualcosa di esoterico, era un’anima che andava oltre l’arte e ogni confine. Oggi ho una sua foto in camera e penso a lei come se fosse una seconda madre.
Ha truccato anche Cher: era prima o dopo lo stravolgimento chirurgico?
(ride) Era la fine degli anni ’70, Cher era già ritoccatissima ma le dirò una cosa: è l’unica al mondo a non essersi fatta sopraffare dai ritocchi. La chirurgia è rimasta sconfitta da Cher. Ora per altro la trucca una grande protagonista della bellezza, una mia assistente di allora, Francesca Tolot.
Lei ha rivelato di aver venduto tutto il suo patrimonio. A chi lo lascerà?
Non ho venduto tutto, ma ho già pianificato a chi lasciarlo. Forse c’era chi pensava di fregarmi ma deve sapere che ho già riscritto il testamento nove volte.
Lei ha perdonato il prete che ha abusato di lei?
Sì. Quando ne parlo, alcuni amici mi dicono: «Sei un coglione». Ma il perdono è la mia forza, la mia energia: è il mio modo per essere un uomo giusto.
Foto di Antonio Ereddia