I pm di Milano, secondo l’ipotesi degli inquirenti scaturita dalle dichiarazioni del magistrato Paolo Storari (indagato per rivelazione di segreto d’ufficio per il caso dei verbali di Amara) avrebbero omesso di depositare nel processo materiale probatorio che riguardava l’ex manager Vincenzo Armanna
Un nuovo atto si aggiunge all’inchiesta della procura di Brescia sui pm milanesi che hanno sostenuto la pubblica accusa nel processo Eni Nigeria, gli inquirenti hanno chiesto al Tribunale di Milano di aver copia delle motivazioni, depositate mercoledì scorso, della sentenza del processo conclusosi con 15 assoluzioni, per acquisirle nell’indagine che vede indagati l’aggiunto milanese Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro per rifiuto di atti d’ufficio. I due pm, secondo l’ipotesi degli inquirenti scaturita dalle dichiarazioni del pm di Milano Paolo Storari (indagato per rivelazione di segreto d’ufficio per il caso dei verbali di Amara) avrebbero omesso di depositare nel processo materiale probatorio che riguardava l’ex manager Vincenzo Armanna.
Da una parte ci sono le dichiarazioni ai pm di Brescia e i documenti portati dal pm Paolo Storari, titolare fino a qualche mese fa dell’inchiesta sul falso complotto Eni: atti tra cui chat di Armanna, diventato ‘grande accusatore’ nella vicenda nigeriana. Chat che per il sostituto milanese avrebbero dovuto essere depositate nel processo a dimostrazione della volontà dell’ex dirigente di ‘inquinare’ il procedimento e di ricattare i vertici della compagnia petrolifera. Dall’altra parte, ci sono le valutazioni fatte dall’aggiunto Fabio De Pasquale e dal pm Sergio Spadaro che avevano contestato la “legittimità procedurale” con cui quelle conversazioni sono state acquisite.
Tra i documenti non depositati alle parti processuali c’è anche un messaggio con la richiesta da parte di Armanna a Isaak Eke di restituirgli “5 mila dollari”. Soldi che l’ex dirigente licenziato da Eni, molto valorizzato dai pm del processo sul giacimento Opl245, avrebbe versato all’ex ufficiale della polizia nigeriana chiamato come teste, nel novembre 2019, per confermare le sue accuse (cosa che non fece) nel dibattimento. Inoltre, Storari ha riferito al procuratore Francesco Prete e al pm Donato Greco pure di altre chat alterate dall’ex dirigente – imputato in Eni-Nigeria ma anche indagato, come Amara, nell’inchiesta sul ‘depistaggio’ – per screditare non solo l’ad Claudio Descalzi, ma anche il capo del personale Claudio Granata. Agli atti dell’inchiesta bresciana ci sarebbero anche email inviate, tra fine 2020 e inizio 2021, da Storari ai vertici dell’ufficio e in una il magistrato faceva notare l’inattendibilità di Armanna: per lui sentirlo ancora a verbale sarebbe stato solo dannoso per le indagini.
De Pasquale e Spadaro in una “nota”, inviata il 5 marzo al procuratore Francesco Greco e all’aggiunto Laura Pedio, altro titolare del fascicolo sul ‘depistaggio’, hanno risposto con una serie di osservazioni “critiche” ad una relazione degli investigatori, da loro definita “informale” e senza indice degli atti, che era stata inviata da Storari a febbraio e che conteneva il materiale da lui raccolto. Una nota in cui spiegano perché non hanno portato quegli atti nel processo. Undici pagine che lunedì scorso, giorno delle perquisizioni sui loro pc, i due magistrati hanno consegnato anche agli inquirenti bresciani. Con contestazioni sulla regolarità della procedura con cui Storari ha acquisito le chat, perché la consulenza sul telefono di Armanna, scrivono, non è ancora terminata. Secondo la versione di Storari, coi suoi accertamenti si è arrivati a scoprire che Armanna avrebbe pure falsamente attribuito a Granata e Descalzi due numeri in realtà non intestati a loro. Tuttavia, per gli altri pm, quelle analisi non possono essere considerate definitive. E la chat sui 50mila dollari potrebbe anche riferirsi ad un ‘file’ che interessava ad Armanna.