di Damiano Primativo
Ángel Cappa è un ex allenatore argentino noto per aver fatto giocare le sue squadre bene (insomma, ci siamo capiti: era un “giochista”, ma non voglio dirlo). Cappa è anche una persona colta e un pensatore fino, e in una recente intervista in cui gli hanno chiesto della contrapposizione tra calcio bello/brutto o buono/cattivo, ha risposto così: «Borges, citando Kipling, ha scritto che il successo e il fallimento sono due impostori; l’importante è che le cose siano fatte per bene. Lo stesso vale per il calcio, che è uno sport molto complesso: io voglio vincere, ma come si fa? Cerco di giocare al meglio delle mie possibilità».
Sempre Cappa, in un articolo di molti anni fa, toccava un punto ancora più profondo, ovvero l’importanza dell’uso della palla per giocare al meglio. «Si confonde l’avversario e si organizza l’azione toccando. Con dinamismo, con uno scopo, con l’obiettivo di trovare lo spazio e il compagno liberi. Il tocco è una necessità propria del gioco, in nessuna maniera un lusso spettacolare. Si tocca per giocare bene e si gioca bene per vincere», che è come dire: il calcio è un gran casino e contiene una grossa componente aleatoria, ma se faccio attenzione a tutto, se curo tutti i dettagli che posso curare, insomma se faccio le cose per bene, forse posso ridimensionare il caos e aumentare le mie probabilità di vittoria.
Venerdì l’Italia ha giocato bene. Ovvero ha avuto un piano (anzi, più piani) per attaccare e per difendere, ha occupato bene alcune posizioni determinanti del campo, ha tenuto i giocatori alle giuste distanze, ha messo dubbi all’avversario costringendolo a fare delle scelte. Ha pure toccato bene, ma ha toccato bene perché ha eseguito precisi movimenti che hanno creato spazi e ha sfruttato bene questi spazi. Poi è arrivato il primo gol. Che casualmente è stato un autogol, ma per niente un gol casuale. È stato la naturale maturazione di un piano di gioco chiaro, reso ancora più efficace da una precisa correzione durante l’intervallo.
Il principale strumento utilizzato dall’Italia per disordinare il blocco basso della Turchia era avvicinare molti giocatori sul lato sinistro dell’attacco (non solo Insigne e Spinazzola, ma anche Chiellini, Locatelli e Immobile) per poi cambiare gioco verso Barella e Berardi, necessariamente liberi sul lato opposto. Non era una novità: fin dal primo giorno di lavoro Mancini ha implementato questo meccanismo, eleggendo Chiesa come l’esterno destro più adatto a giocare sul lato debole.
Tuttavia nell’ultimo periodo ha deciso di arricchire la gamma di possibilità sostituendo Chiesa con Berardi, un giocatore mancino e più associativo che oltre ad attaccare il lato debole può accentrarsi e combinare bene con Insigne. Questo è stato il pattern del primo tempo, e ha generato una delle prime occasioni dell’Italia:
La sensazione però era che le sovrapposizioni a destra di Barella e Florenzi non bastassero a compensare il movimento di Berardi. Insomma, l’Italia non attaccava l’ampiezza a destra e non slargava abbastanza la difesa turca. Nel secondo tempo l’ingresso di Di Lorenzo per Florenzi ha cambiato molte cose. Di Lorenzo ha mantenuto mediamente una posizione più bassa, evitando di congestionare la trequarti e moltiplicando gli effetti della strategia dell’Italia. Ne hanno beneficiato tutti: Barella con tanto spazio libero in una zona centrale si è confermato un centrocampista molto creativo, Berardi si è mantenuto più largo per minacciare continuamente l’1 contro 1 al terzino avversario. Se confrontate, le azioni dei primi due gol sono identiche e rappresentano la capitalizzazione della superiorità numerica e posizionale creata dall’Italia sulla trequarti:
Per vincere occorre anche la giusta attitudine, ma è facile a volte ricondurre i meriti e i demeriti a realtà intangibili e mistiche. Così ad esempio una squadra che difende bene viene elogiata per la concentrazione, una fortissima sulle seconde palle per la Fame, la Voglia, la Garra. Più probabilmente, invece, la verità sta nel lavoro fatto alla lavagna e nella perfetta occupazione degli spazi da parte dei giocatori, senza palla ma anche con.
Ieri ad esempio è passata ancora una volta sotto traccia l’importanza di Jorginho, che tra le altre cose ha realizzato 4 intercetti.
Turchia-Italia è stato uno dei conflitti calcistici più archetipici: una squadra reattiva, che sperava in un episodio favorevole e in un rendimento negativo degli avversari, era contrapposta a una più ambiziosa che ha curato il più piccolo dettaglio e cercato di ridurre al minimo le variabili aleatorie. Poteva finire anche diversamente, ma fare le cose per bene è il primo passo per avere un’inerzia favorevole.