di Greta Di Mattia
“Gli amanti non si incontrano finalmente in qualche luogo / Sono sempre stati l’uno dell’altro”. Cosa lega questi versi all’idea di un matrimonio combinato? Nulla, è la risposta che giunge più immediata. Eppure, costringere una donna a sposare un uomo che non ama fino a privarla della sua stessa vita in caso di ribellione, è un’abitudine che diversi esponenti della destra italiana hanno attribuito non al funesto incontro tra gli orrori celati in menti perverse e il fenomeno della radicalizzazione religiosa ma, più subdolamente, ad un’inquietante comunità islamica nemica delle democrazie liberali. La stessa comunità cui apparteneva colui che, secoli fa, scrisse i versi citati sopra.
Nato nel 1207 nell’odierno Afghanistan, Rumi è il più grande poeta mistico della letteratura persiana e le sue poesie sono molto amate nel mondo musulmano, di cui fa parte anche il Pakistan, paese d’origine della povera Saman Abbas e della sua mostruosa famiglia. Qui, la letteratura persiana fu introdotta nel sedicesimo secolo dall’Impero Mogul, la più importante dinastia indiana di religione musulmana che governò la regione fino agli inizi dell’Ottocento, quando la crescente influenza britannica portò alla disgregazione dell’Impero. Come può un popolo che per secoli ha letto Rumi aver nutrito gruppi di estremisti votati alla violenza?
Qualche giorno fa, Matteo Salvini si è posto una domanda simile ma un po’ più, come dire… semplice, dopotutto lui è un “amico del popolo” e le sottigliezze puzzano di sinistra. La sua domanda era rivolta ad un membro della comunità pakistana in Italia, in collegamento con lo studio di Diritto e rovescio e suonava più o meno così: come mai queste atrocità le compiono sempre i musulmani? Beh, la risposta a entrambe le domande è una e chi ha studiato la storia la conosce già: la maggiore “fortuna” che il fondamentalismo islamico ha avuto rispetto ad altri tipi di estremismo religioso nel reperire fondi e potenti alleati.
Sono molti i fatti che sostengono questa tesi e alcuni di essi appartengono proprio alla storia del Pakistan, un paese che negli anni 80 fu un importante alleato degli Stati Uniti dopo l’invasione del vicino Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica. Per combattere l’Unione Sovietica gli Stati Uniti sostennero i fondamentalisti afghani mujaheddin, nonché il Presidente pakistano Mohammed Zia-ul-Haq. Divenuto Presidente nel 1977 in seguito ad un colpo di stato militare, il generale Zia collaborò a sua volta con i mujaheddin e aprì le porte del Pakistan a milioni di rifugiati provenienti dall’Afghanistan.
Rifugiati che già da diversi anni erano stati destinatari di una singolare campagna di “educazione” messa in atto proprio dagli Stati Uniti che, secondo un’inchiesta del Washington Post, spesero milioni di dollari per donare alle scuole afghane libri di testo pieni di immagini violente che incitavano alla guerra santa contro l’Unione Sovietica. Le immagini includevano disegni di soldati, fucili, proiettili, mine e divennero i principali libri di testo del curriculum scolastico afghano. Con il tacito assenso degli Stati Uniti, per anni il governo del generale Zia collaborò con i fondamentalisti afghani, talebani compresi, nelle operazioni militari contro l’Unione Sovietica.
La guerra fredda finì, ma il seme del fondamentalismo continuò a germogliare e nel 2007 un attentato pose fine alla vita di Benazir Bhutto, la donna che nel 1988 era divenuta Primo Ministro del Pakistan entrando così nella storia come la prima donna a ricoprire tale carica nel mondo musulmano.
Se solo quel ragazzo pakistano accusato di non aver “isolato” la famiglia di Saman da un “giornalista” di Diritto e rovescio fosse stato colto da un’illuminazione nel buio di quei colpi bassi spacciati per atti di coraggio, avrebbe posto la seguente domanda a Matteo Salvini: e se certi mostri fossero stati creati proprio da chi oggi millanta di volerli combattere ad ogni costo? Ai crociati l’ardua sentenza.