I mercati delle criptovalute “sono in rapida evoluzione e sembra ripetersi l’esperienza antecedente la crisi del 2008, quando i contratti derivati si svilupparono fino a raggiungere una dimensione di dieci volte il Pil globale, assumendo forme complesse che ricevettero un rating elevato”. Parola del presidente Consob Paolo Savona che, nel discorso in occasione dell’incontro annuale con il mercato finanziario, ha sostenuto che “pur con le dovute distinzioni, è prevedibile che stia accadendo qualcosa di analogo nel mercato dei prodotti monetari e finanziari virtuali, soprattutto criptati”. Intanto lunedì il prezzo del bitcoin è salito di oltre il 10% e si è avvicinato alla soglia dei 40.000 dollari, da cui si era allontanato alla fine di maggio, dopo che il solito Elon Musk ha annunciato che Tesla tornerà ad accettare i la moneta virtuale come mezzo di pagamento.

In generale, secondo l’ex ministro per gli Affari europei del governo gialloverde, il fintech corre più veloce del mercato e le regole finora applicate non bastano più. “L’informatica finanziaria è una lampada prodigiosa dalla quale è uscito il Genio“. “Il fiume ormai in piena degli strumenti virtuali si è articolato in molti e variegati rivoli: Internet, che non è certo la culla delle certezze, attesta che esistono in circolazione dalle 4 alle 5mila cryptocurrency, nelle forme di stable coin, ma in gran parte floating, che operano più o meno indisturbate. Se a esse si applica l’esperienza fatta in poco tempo dalla Consob nell’oscurare in Italia centinaia di siti web che raccoglievano illecitamente risparmio, il quadro che ne risulta appare preoccupante”, ha continuato Savona.

Per “riportarlo dentro” le authority devono usare le stesse tecniche digitali. “L’attitudine favorevole alle nuove tecniche va accompagnata con norme chiare sulla nascita e sugli scambi degli strumenti criptati e sui loro intrecci tra attività/passività monetarie e finanziarie tradizionali, siano esse già digitalizzate o meno, come guida indispensabile per gli operatori che gestiscono la liquidità e i risparmi”. E se il problema della cybersecurity nella percezione di chi investe è compensata dai guadagni, fa notare Savona, “rimane pur sempre il fatto che essi restano nel confine dell’incertezza di essere dentro o fuori il perimetro della legalità, soprattutto se includono l’uso delle cryptocurrency. Per cogliere l’ampiezza delle possibilità messe a punto dai tecnici delle contabilità decentrate si usa l’acronimo DLT (Distributed Ledger Technology), dei cui reali contenuti sono coscienti solo gli esperti ma non la clientela ordinaria (il retail) che, se vi accede, risulta di fatto meno protetta. Senza presidi adeguati (norme ed enti), ne consegue un peggioramento della trasparenza del mercato, fondamento della legalità e delle scelte razionali degli operatori. Tra gli effetti negativi ben conosciuti vi è la schermatura che queste tecniche consentono ad attività criminali, come l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro sporco, il finanziamento del terrorismo e il sequestro di persone”.

Secondo Savona, se i tempi di maturazione di un’iniziativa normativa a livello europeo sulle criptovalute e la sicurezza “fossero lunghi, il Paese dovrebbe provvedere autonomamente, non foss’altro per essere pronto a integrarsi nelle istituzioni comunitarie, quando esse entreranno in vigore”. Le iniziative in questo campo non mancano: la Bceha proposto la creazione di una Cbdc, Central Bank Digital Currency (o cryptoeuro), spostando la sua attuazione avanti nel tempo. La Commissione europea ha avanzato una Strategia per la finanza digitale, sottoponendola all’esame del Parlamento e aprendo un’ampia consultazione tra operatori. La presidenza di turno portoghese va imprimendo un’accelerazione all’approvazione del programma Mica (Market In Crypto-Asset), non sempre secondo le linee di regolamentazione qui suggerite”. Inoltre “sono già in corso alcuni esperimenti o decisioni di Stati membri”, con la Banca di Francia che ha effettuato un’operazione di creazione a livello nazionale di cryptoeuro che si auto estinguono e con il Parlamento federale tedesco che “ha autorizzato le circa 4 mila Spezialfonds di investire in cryptocurrency fino al 20% dei loro investimenti, per un ammontare stimato in 240 miliardi di euro”, ha concluso Savona.

In generale, la sicurezza “resta il fianco scoperto” della nuova finanza digitale ed “è perciò ragionevole considerare la cybersecurity un bene pubblico”, perciò “l’esistenza e il funzionamento di un sistema di sicurezza, anche se lasciato ai privati, deve essere garantito e presidiato dallo Stato”. La soluzione “non può essere raggiunta a livello nazionale e richiede una stretta collaborazione internazionale”.

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