Dopo diversi rinvii, la fine del mercato tutelato dell’energia per i clienti domestici è ora prevista per l’1 gennaio 2023. Per molti sarà un salto “pericoloso” nel vuoto. Già oggi entrambi i mercati hanno le loro grane, tanto che il nostro Paese paga l’energia elettrica più cara d’Europa, senza che la maggior parte dei cittadini sappia ciò che consuma davvero. D’altronde sulla bolletta la materia energia incide solo per un 30% e pesano molto altre voci, come imposte, canone Rai e oneri di sistema. Il completo passaggio al mercato libero che, in teoria, dovrebbe favorire la ricerca della tariffa giusta e di servizi aggiuntivi, rischia di aggiungere nuove e più rischiose incertezze. Non è un caso se, a vent’anni dalla liberalizzazione (almeno sulla carta), vengono serviti nel mercato libero il 68% dei clienti non domestici e il 56% di quelli domestici, con quasi 13 milioni di famiglie ancora legate a contratti di Maggior tutela regolati dall’Autorità di regolazione per Energia reti e ambiente, che ne stabilisce le condizioni per evitare impennate o speculazioni. In questo contesto di attesa e preoccupazione, è emblematica la vicenda che riguarda la Green Network spa, per far luce sulla quale il capogruppo M5S alla Camera, Davide Crippa, ha appena depositato un’interrogazione rivolta ai ministri dello Sviluppo economico, della Transizione ecologica e dell’Economia.
IL CASO GREEN NETWORK – Secondo la Procura di Roma, la società avrebbe “indebitamente trattenuto somme relative agli oneri generali di sistema” destinandole a scopi diversi da quelli per cui la legge ne aveva preteso il versamento, nella maggior parte dei casi a privati cittadini. Nel 2019, dei 331 milioni di euro incassati dalle bollette, la società ne ha riversati al proprio fornitore e-distribuzione del gruppo Enel 165, trattenendo 166 milioni. Avendole già anticipate agli enti pubblici competenti, e-distribuzione ne ha chiesto il rimborso alla Cassa per i servizi energetici e ambientali (Csea). L’inchiesta è partita da una segnalazione di Arera, a cui e-distribuzione aveva a sua volta denunciato mancati pagamenti. Al centro dell’inchiesta che ne è derivata due episodi. Nella primavera del 2019, il trasferimento di quasi tutti i clienti che Green Network aveva sulla rete di Enel sul contratto di trasporto di un altro trader, negli stessi giorni in cui e-distribuzione aveva notificato alla società l’imminente risoluzione del contratto. Mesi dopo un episodio simile. Ma, al di là dell’inchiesta, il problema è chi paga i debiti e chi lo stabilisce.
IL RETROSCENA – Green Network spiega di aver agito nel rispetto della legge e della delibera 50/2018 di Arera. Ed evidenzia che gli importi per cui Enel Distribuzione ha chiesto il rimborso si riferiscono “a una normale transazione stipulata fra le due società, preventivamente comunicata con la massima trasparenza all’Arera”, che non ha avuto nulla da obbiettare. Transazione non passata inosservata all’ingegnere Edoardo Beltrame, esperto di energia, che già l’aveva segnalata sul suo blog, ad agosto 2020. “I fornitori di energia elettrica operano in un mercato che resta controllato dal distributore di riferimento, e-distribuzione – spiega Beltrame a ilfattoquotidiano.it – al quale pagano gli oneri generali di sistema, a prescindere dal fatto che il loro cliente paghi o meno le bollette”. La Green Network era arrivata a un debito di 343 milioni di euro. “Con la transazione si è stabilito che il trader restituisse parte del debito – aggiunge – e che il resto (oltre 200 milioni, ndr) venisse stralciato. Il meccanismo che avrebbe consentito a e-distribuzione di recuperare buona parte del debito stralciato è quello previsto in due delibere di Arera (la 50/2018 e la 568/2019) che consentono, dunque, di siglare accordi transattivi e socializzare gli insoluti accumulati (ritenuti non più recuperabili, ndr), scaricandoli sui consumatori”. D’altro canto, se E-Distribuzione avesse rifiutato l’accordo, avrebbe potuto socializzare l’intero ammanco. In pratica, a pagare (ancora di più) sarebbero stati i consumatori. “Il rischio è che questo tipo di accordi tra privati con effetti concreti sulle bollette dei cittadini, favorisca comportamenti irregolari” aggiunge Beltrame. Interpellata da ilfattoquotidiano.it Arera ha preferito non rilasciare dichiarazioni.
L’INTERROGAZIONE – Nell’interrogazione, il deputato M5S Crippa chiede lumi sull’accordo tra la società ed Enel Distribuzione “la quale – scrive – avrebbe poi provveduto a riscuotere la cifra rimanente dalla Csea, quindi dalle bollette dei cittadini che, lo ricordo, hanno già contribuito al pagamento degli oneri generali con le bollette dirette a Green Network”. Crippa si domanda come Arera, stando alle dichiarazioni di Green Network, possa non aver “avuto nulla da obiettare”, considerando che la società “è stata sanzionata nel 2019” con una multa da 644mila euro “dalla stessa Autorità per violazioni in materia di condizioni contrattuali di fornitura di energia elettrica e gas naturale ai clienti finali”, oltre ad essere oggetto nell’ottobre 2020 di un’istruttoria dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che le contesta ‘mancata trasparenza nell’indicazione delle condizioni economiche di fornitura’.
IL RUOLO DI ENEL – Beltrame, però, lega l’accordo concluso da Enel alla liberalizzazione nel settore disegnata negli anni Novanta dal decreto Bersani “che non si è mai realizzata. Non si è mai realizzato l’unbundling – spiega – cioè la netta separazione tra produzione, distribuzione e vendita. E ancora oggi, nel mercato tutelato, il distributore per l’86% è Enel, presente in entrambi i mercati”. Di fatto, nel primo semestre del 2020 il gruppo ha incassato 156 milioni di euro grazie all’applicazione delle delibere sulla parziale reintegrazione degli insoluti dei venditori. E, sempre in attuazione della delibera 50, ha recuperato 221 milioni nel 2019 e 145 nel 2018, in buona parte legati alla risoluzione del contratto con Gala.
IL CASO GALA – Qualche anno fa era il quarto operatore italiano nella vendita di energia elettrica, quotato in borsa. Il prezzo delle forniture di energia elettrica alle PA era legato al valore del petrolio Brent, principio applicato dalla Consip e, nel 2014, Gala ha portato a casa un subappalto da un miliardo di euro, grazie a offerte molto basse. Poi c’è stato, nel 2015, il crollo del prezzo del petrolio. Gala ha chiesto una revisione del contratto per ‘eccessiva onerosità sopravvenuta’, che Consip ha rifiutato. “La società ha fatto ricorso al Tar e ha perso – racconta Beltrame – ma è stata salvata da un emendamento alla legge di stabilità che permetteva la revisione del prezzo di fornitura dell’energia elettrica” se quello del petrolio avesse subìto “un aumento o una diminuzione non inferiore al 10%”. A firmarlo la pieddina Elisa Simoni, cugina alla lontana di Matteo Renzi. Così il presidente e ad Filippo Tortoriello ha chiesto a Consip la revisione delle condizioni di fornitura del superappalto. Nel frattempo, i debiti erano arrivati a quasi 500 milioni (tanto da spingere Gala, nel 2017, sull’orlo del fallimento): circa la metà sono finiti negli oneri di sistema, per essere scaricati sui cittadini. E non è ancora finita. “Dalla Corte dei Conti – spiega Beltrame – apprendiamo che, anche dopo aver rinegoziato con Consip i prezzi di fornitura, Gala ha chiesto alla Consip un risarcimento di almeno 71,3 milioni di euro per il periodo precedente all’accordo”. Percorso diverso, finale simile, dove a pagare sono sempre i consumatori attraverso gli oneri di sistema.
GLI ONERI DI SISTEMA – Questa voce grava sulla bolletta per circa “14 miliardi di euro nel 2020, aggirandosi intorno al 22% della spesa annua per il cliente domestico tipo” ha spiegato il presidente di Arera, Stefano Besseghini. I soldi arrivano nelle casse della Csea e vengono utilizzati in vari modi: incentivi alle rinnovabili, decommissioning nucleare, ma anche per i salvataggi, come quelli di Alitalia e Ilva. Per il mercato tutelato più del 65% degli oneri è relativo agli incentivi per le fonti rinnovabili. “Assurdo che la vecchietta in difficoltà debba contribuire con la sua bolletta della luce ad aiutare il proprietario di una villa ad installare pannelli fotovoltaici”, ha commentato Marco Vignola, responsabile del settore energia dell’Unione Nazionale Consumatori. Opinione diffusa, infatti, è che sia necessario trasferire questi oneri alla fiscalità generale. Altrimenti, stando così le cose, il paradosso è che chi consuma meno, non ammortizzando la spesa, paga di più (come mostrano le bollette sulle seconde case). Cosa che va contro ogni indicazione dell’Ue. E c’è da chiedersi cosa accadrà con la fine del mercato di maggior tutela “che, comunque, fornisce una certa protezione al consumatore – spiega Beltrame – anche attraverso i contenziosi. Nel mercato libero occorrerà legge parola per parola per evitare truffe. E la facoltà di annullare il rischio d’impresa è un’attrattiva per la miriade di fornitori che si affacciano al mercato”. Meglio rinviare ancora l’addio alla Maggior tutela? “Ne trarrà vantaggio anche chi finora ha avuto le redini in mano ma l’alternativa, in questo momento, è anche peggio”.
I RISCHI DEL MERCATO LIBERO – In questi giorni, alla Camera, si sono tenute le audizioni su una risoluzione M5S, a prima firma di Crippa, che propone di impegnare il Governo “ad adottare iniziative” anche di carattere normativo “che prevedano l’istituzione di un meccanismo di fissazione mensile dei prezzi al Prezzo unico nazionale” e a favorirne altre che mettano i consumatori nelle condizioni di poter “valutare le diverse proposte contrattuali e i venditori che meglio soddisfino le loro esigenze”. Ma il mercato libero conviene? Intanto c’è il problema “del ‘mercato di salvaguardia’, quello più caro – spiega Crippa – dove finiscono i consumatori indecisi che non scelgono subito un nuovo fornitore e anche quelli che avevano un contratto con fornitori poi falliti”. Secondo Arera, in media, i costi nel mercato libero sono più alti “con un differenziale, nel 2020, di circa 4 centesimi di euro per kilowattora”. In quella media c’è di tutto, anche tariffe convenienti e operatori seri. Ma in totale sono 600, molti nati dal nulla e pronti a operare in modo irregolare. Nel 2017 non arrivavano a 140, ma si sono moltiplicati dopo la legge sulla concorrenza del 2017 che, però, prevedeva l’istituzione di un albo e la definizione di requisiti precisi per operare. Tuttora si è in attesa dell’ok del Consiglio di Stato al decreto che istituisce l’Elenco dei soggetti ammessi alla vendita. E se nel frattempo qualcuno fallisce, paga Pantalone.