È notizia di qualche giorno fa che il ristorante romano “La Palapa” ha esplicitamente vietato l’ingresso a cani e bambini. L’impressione iniziale è quella di una provocazione bella e buona, ma la realtà è che il direttore ha confermato senza troppi problemi che nel suo locale non sono ammessi né cani né bambini, perché potrebbero disturbare la quiete e l’atmosfera piuttosto ricercata del posto e, per dovere di cronaca, occorre precisare che il divieto è relativo solo ad alcune zone del locale, mentre per altre non esiste alcuna limitazione.
Senza dubbio, il fatto di equiparare i nostri figli ad animali da compagnia è un tantino inelegante – per usare un eufemismo carino – e risulta comprensibilmente fastidioso. Resta il fatto che la scelta de “La Palapa” non è isolata e, come spiega infatti il direttore, “ci sono tante altre attività come la nostra, anche a Roma e in altre località turistiche: i bambini fanno rumore, gli animali nei locali sporcano”. Effettivamente si tratta di un trend partito dagli Usa e abbastanza diffuso un po’ in tutto il mondo, che evidenzia una crescita esponenziale dei locali cosiddetti childfree.
Com’era prevedibile, orde di genitori inferociti hanno attaccato la scelta del ristoratore romano, accusandolo di inaccettabile discriminazione. Partendo dal presupposto che qualsiasi scelta è discutibile e può essere più o meno condivisa, credo che l’argomento meriti un’analisi un po’ più approfondita. Intanto, da madre di una bimba di quattro anni, posso affermare con estrema sincerità che in alcune situazioni andare a cena fuori senza figli è assolutamente doveroso.
Non perché mia figlia sia una rompiscatole o perché non ami stare in sua compagnia, semplicemente perché ha 4 anni e, guarda caso, si comporta proprio come una bimba di quell’età: non riesce a stare seduta per più di dieci minuti; si distrae mentre mangia e tu passi il tempo a dire: “Amore, mangia dai!” mentre la tua carbonara diventa colla; ogni tanto le piace andare in giro per il locale e soprattutto avvicinarsi agli altri tavoli e socializzare anche coi muri. Perciò, rischiando di passare per madre degenere, se io e il mio compagno vogliamo andare a cena in un ristorante esclusivo chiamiamo la babysitter.
Dunque – considerando che, come spiega l’avvocato Fabio Biffi su Linkiesta “Non può essere considerato legale il fatto di vietare ai bambini l’accesso a un ristorante per il semplice fatto che possano infastidire altri clienti con la loro semplice presenza, si tratterebbe infatti di un motivo discriminatorio. Un po’ come escludere a prescindere gli anziani, o gli stranieri” – non si può prescindere dal buonsenso di noi genitori. Se i bambini diventano irrequieti o difficili da gestire, non sempre può essere attribuito al fatto che anziché educarli i genitori hanno giocato a Ruzzle negli ultimi quattro o cinque anni. Semplicemente sono bambini e, per quanta educazione abbiano potuto ricevere, tenderanno istintivamente a comportarsi come la loro età impone.
Spesso ci si dimentica del fatto che non sono i nostri figli a voler andare a cena fuori o a voler passare due ore e mezza dentro un museo, siamo noi genitori a volerlo e anziché adattare le nostre scelte a loro, pretendiamo che siano loro ad adattarsi a noi, dando per scontato che a tre o quattro anni abbiano gli strumenti giusti per capire esattamente che quella sera ci va di mangiare il pesce a Fiumicino, quindi “ vi conviene stare zitti e buoni”. In alternativa, c’è sempre il preziosissimo tablet, davanti al quale qualsiasi bambino diventa una specie di robottino dalle limitate funzioni vitali, che se non ci ricordiamo di imboccarlo può sopravvivere tranquillamente, senza mangiare nemmeno una briciola per tutta la sera. Ora, davanti a questa prospettiva a dir poco sconfortante, preferisco che mia figlia rimanga a casa e giochi tranquilla senza limitazioni o costrizioni.
Dunque, è giusto che alcuni ristoranti vietino l’ingresso ai bambini? Sì, se i servizi che offrono non sono adatti alla loro accoglienza e, badate bene, non parlo di locali per famiglie, quelli con le famose aree bimbi attrezzate, dove dopo due ore passate in mezzo ad altri 50 bambini urlanti rischi l’esaurimento nervoso e finisci per desiderare una morte violenta per Peppa Pig, o che i Me contro Te si separino perché Luì ha scoperto Sofì a letto col Signor S. Parlo di locali nei quali si respiri un’atmosfera rilassata e informale, dove non devo preoccuparmi che mia figlia possa inavvertitamente sedersi e appoggiare le scarpine su una poltrona Frau da tremila euro, dove nonostante tutto ci sia un’attenzione particolare per i bambini: bicchierini o piattini colorati per farli sentire a proprio agio, per esempio.
Insomma, noi genitori abbiamo non solo il compito di educare i nostri figli, ma anche di capire che ci sono delle situazioni nelle quali è opportuno farli partecipare e altre no, poiché troppo spesso il nostro egoismo sovrasta in qualche modo la tutela delle loro esigenze. Al di là del fatto che possa dar fastidio o meno l’idea che ci siano dei posti nei quali i nostri teneri e amabili pargoli non siano i benvenuti, occorre anche rendersi conto che ci sono delle situazioni in cui invece è concessa la loro presenza, ma che sarebbe comunque opportuno evitare loro uno stress inutile.
Giusto poco tempo fa, mi è capitato di andare a visitare i Musei Vaticani insieme al mio compagno e ai miei genitori in visita a Roma. Al momento della prenotazione non ho mai pensato, nemmeno per un secondo, di portare mia figlia con me, nonostante i Musei non siano vietati ai bambini e ci siano proprio dei family tour dedicati appunto alle famiglie con bambini. Il motivo è semplice: lei si sarebbe annoiata a morte dopo poco, noi avremmo dovuto sopportare la sua giustissima insofferenza e cercare di distrarla, col risultato di non goderci affatto la visita e di uscire da lì con la consapevolezza di aver sprecato un’occasione preziosa di vedere un posto unico al mondo.
Infatti, una volta lì ho visto un sacco di famiglie con figli poco più che neonati sclerare nel tentativo di farli smettere di piangere, gruppi di bambini urlanti con gli insegnanti che cercavano di coinvolgerli nella spiegazione dell’arte etrusca e i famosi family tour nei quali a turno i genitori cercavano di allontanare i figli dalle opere d’arte o di riacciuffarli un secondo prima che scavalcassero le corde di distanziamento dalle statue romane. Ripeto, ognuno sceglie per conto proprio, ma non posso accettare polemiche sulla base del diritto assoluto di ogni genitore di portare i figli dove vuole. Ci sono tantissimi musei che possono risultare davvero interessanti per i bambini, tante mostre o spettacoli teatrali, come ce ne sono altri in cui un bambino – che di per sé ha una bassa soglia dell’attenzione – rischierebbe solo di annoiarsi dopo cinque minuti.
Inoltre, non è che il fatto di avere dei figli e di adorarli come noi genitori facciamo presupponga che anche gli altri debbano automaticamente adorarli. Ci sono persone che legittimamente non amano la confusione che un bambino può causare e non per questo deve essere considerato un mostro insensibile. Tra l’altro, ci sono tanti altri posti nei quali i bambini non sono ammessi e nessuno ha mai polemizzato troppo: parlo delle Spa, ad esempio, e persino di parecchi hotel esclusivi.
In definitiva, se un ristorante propone un certo tipo di atmosfera oltre che una proposta di cucina ricercata, trovo sia abbastanza inappropriato portare dei bambini i quali, ripeto, non chiedono di cenare in quel posto esclusivo e non ne sentono affatto l’esigenza. A mio avviso, queste polemiche non nascono con lo scopo di tutelare effettivamente le esigenze dei più piccoli, semmai sono un modo come un altro per affermare con presunzione di poter imporre il proprio stile di vita genitoriale a tutti coloro che genitori non sono o che semplicemente non amano la presenza di bambini in determinate situazioni.
Ripeto, sono madre anch’io e come tutte le madri sono estasiata da mia figlia e penso sia la bambina più straordinaria di questo mondo, ma se in virtù di questa convinzione decido di portarla a cena da Bottura e poi passo la serata a pretendere che smetta di fare la bambina di quattro anni, sono io che ho un problema, non il ristoratore che mi ha consigliato di lasciarla a casa e godermi una cena gourmet da stelle Michelin, anche perché le uniche stelle che mia figlia vorrebbe provare sono quelle sui biscotti per la colazione.