L'8 gennaio scorso, per tre agenti penitenziari furono disposti gli arresti domiciliari - un’ispettrice, un capoposto e un agente - mentre altri sei furono interdetti dall’incarico per un anno e sottoposti all’obbligo di dimora. Il coinvolgimento dei medici, invece, è emerso solo oggi, con la richiesta di rinvio a giudizio anche per loro. Secondo il pm, all'epoca dei fatti avevano redatto falsi certificati sulle condizioni dei detenuti vittime delle presunte violenze da parte degli agenti
Tortura, falso in atto pubblico e favoreggiamento. Con queste accuse, il pm Christine Von Borries della Procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio per 10 agenti di polizia penitenziaria e due medici, nell’ambito delle indagini sui fatti avvenuti tra il 2018 e il 2020 nel carcere di Sollicciano, nel capoluogo toscano.
La notizia risale all’8 gennaio scorso, quando per tre agenti penitenziari furono disposti gli arresti domiciliari – un’ispettrice, un capoposto e un agente – mentre altri sei furono interdetti dall’incarico per un anno e sottoposti all’obbligo di dimora nel comune di residenza. Il coinvolgimento dei medici, invece, è emerso solo oggi, con la richiesta di rinvio a giudizio anche per loro. Secondo il pm, all’epoca dei fatti questi avevano redatto falsi certificati in relazione alle condizioni dei detenuti vittime delle presunte violenze da parte degli agenti.
L’inchiesta è stata condotta dalla stessa polizia penitenziaria, attraverso una serie di intercettazioni ambientali e acquisizione di video. È scattata dopo una serie di denunce per resistenza a pubblico ufficiale a carico dei detenuti, presentate dagli stessi agenti coinvolti, che la procura ha ritenuto non veritiere.
Le ricostruzioni della procura – Secondo quanto emerso, i pestaggi finiti al centro delle indagini sono tre, tutti opera del gruppo di agenti coordinati da un’ispettrice 50enne, residente a Firenze. Ed è proprio nel suo ufficio che – sempre secondo la procura – è avvenuto il più violento degli episodi contestati, datato il 27 aprile 2020. La vittima è un detenuto di origini marocchine, la cui ‘colpa’ è stata quella di aver protestato insultando un agente. Pochi minuti dopo la minaccia rivoltagli – “ti massacriamo”, riportano i pm – l’uomo è stato portato nell’ufficio della donna e poi, davanti ai suoi occhi, picchiato dagli agenti con pugni e calci fino a lasciarlo a terra, senza fiato con due costole rotte. Prima di essere portato in infermeria, dicono ancora dalla procura, l’uomo è stato condotto in un’altra stanza, in isolamento, costretto a togliersi i vestiti e lasciato nudo per alcuni minuti per umiliarlo. “Ecco – gli avrebbe detto uno degli agenti – la fine di chi vuole fare il duro”. Nel dicembre 2018 un trattamento analogo sarebbe stato riservato a un detenuto italiano, picchiato fino a perforargli un timpano.
Qui entrano in gioco i medici, un 33enne straniero e residente a Siena, e una 62enne di Prato. Secondo l’accusa, entrambi, in due distinti episodi, hanno coperto gli autori dei pestaggi senza visitare i detenuti che venivano portati in infermieria dopo le violenze, certificando come lievi lesioni quelle che erano violenze pesanti.
In ultimo, sempre stando a quanto riporta l’accusa, nel dicembre 2018 un trattamento analogo sarebbe stato riservato a un detenuto italiano, picchiato fino a perforargli un timpano.