La sottosegretaria al ministero dell'Economia, esponente di Leu, commentando i dati Istat sulla povertà assoluta sottolinea che "per tantissimi lavoratori il salario percepito non rende possibile garantire una vita dignitosa a sé e alla propria famiglia". E chiede - come aveva già fatto il presidente dell'Inps Tridico - di modificare la scala di equivalenza per aumentare la cifra che spetta a chi ha figli minori e includere gli extracomunitari in Italia da meno di dieci anni
Chi attacca il reddito di cittadinanza, sostenendo magari che a causa di quell’aiuto “non si trovano lavoratori“, dovrebbe prima guardare i dati Istat sull’aumento della povertà nell’anno del Covid. Che mostrano come le famiglie in povertà assoluta siano salite a più di 2 milioni, passando dal 6,4 al 7,7%. “I poveri non sono persone sedute sul divano a poltrire perché prendono un reddito di cittadinanza: l’incidenza della povertà nelle famiglie con persona di riferimento “operaio e assimilato” è del 13,2 per cento“. Il che dimostra come “per tantissimi lavoratori il salario percepito non rende possibile garantire una vita dignitosa a sé e alla propria famiglia”. A sottolinearlo è la sottosegretaria al Tesoro Maria Cecilia Guerra (Leu), convinta che il sussidio vada rafforzato per garantire più risorse ai nuclei numerosi e a quelli extracomunitari, ora esclusi se non risiedono in Italia da più di dieci anni.
“L’Istat certifica che pure a fronte di un grande aumento del numero delle famiglie in povertà, l’intensità, cioè la gravità media del disagio sofferto per mancanza di risorse è meno drammatica nel 2020 rispetto al 2019, proprio grazie a questi strumenti”, il reddito di cittadinanza e quello di emergenza, riflette Guerra. Ma “nelle famiglie con figli, la povertà è drammatica nel caso di persona di riferimento in cerca di occupazione (29,1%), bisognerebbe quindi rivedere il reddito di cittadinanza per correggere il peso, assolutamente insufficiente, che oggi questo strumento attribuisce alla presenza di minori nel nucleo familiare”. Stessa cosa per quanto riguarda gli stranieri “che vivono una situazione drammatica: il 29,3% sono in povertà assoluta, contro il 7,5% dei cittadini italiani”. Anche in questo caso è necessario rimodulare lo strumento di sostegno “eliminando l’assurdo vincolo dei dieci anni di permanenza in Italia per potere accedere al Reddito di cittadinanza”.
Proposte che ricalcano quelle arrivate dal numero uno dell’Inps e “padre” del Rdc Pasquale Tridico, mentre il comitato per la valutazione del reddito istituito dal ministro Andrea Orlando deve ancora esprimersi. La presidente del comitato, Chiara Saraceno, è stata però la prima a evidenziare che i paletti per l’accesso al sussidio – a partire dall’Isee – vanno allargati perché “ostacolano i poveri veri e sono facilmente aggirati dai truffatori”. La sociologa, intervistata dal fattoquotidiano.it, aveva anche spiegato che per rendere vantaggiosa la ricerca di lavoro “occorre cambiare il meccanismo per cui ogni euro in più guadagnato va a ridurre la somma che si riceve dall’Inps. In tutti i Paesi si consente di sommarli, in modo da incentivare l’attivazione”. Ma occorre tener presente che molti dei beneficiari già lavorano e molti altri “non sono in grado di lavorare per motivi di salute o perché hanno qualifiche bassissime che non li rendono facilmente occupabili”. Quindi le politiche attive possono sì incrociarsi con questa misura “ma non devono sovrapporsi: riguardano tutti, non solo i poveri”.
Orlando, dal canto suo, martedì si è limitato a ribadire che c’è “bisogno di correttivi e di politiche attive ma bisogna smettere con questa caricatura sul Reddito di cittadinanza”. Per ora il comitato non è stato incaricato di presentare nel breve termine proposte di modifica dei criteri di attribuzione del sussidio.