di Sara Antonia Passante*
L’art. 83 bis della legge di conversione del DL rilancio (legge 77/2020) ha introdotto una modifica assai significativa in materia di somministrazione irregolare, imponendo una lettura rigorosa dell’art. 38 c. 3 del dlgs 81/2015. Nel concetto di somministrazione irregolare rientrano sia i casi di somministrazione di lavoro effettuata senza il rispetto dei limiti e delle condizioni fissati dalla legge (a titolo esemplificativo: carenza di forma scritta del contratto, mancato rispetto delle percentuali di contingentamento previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva, mancata elaborazione e aggiornamento della valutazione dei rischi per la salute e sicurezza, insussistenza della temporaneità nella occasione di lavoro etc.), sia l’appalto e il distacco illecito di lavoratori.
L’art. 38 prevede(va) che gli atti compiuti dal somministratore (ovvero dal datore di lavoro “fittizio”) nella costituzione o nella gestione del rapporto di lavoro si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto “effettivo” utilizzatore delle prestazioni di lavoro. Alcune pronunce della Suprema Corte (tra queste Cass. 17969/2016) avevano interpretato la norma nel senso che andasse imputato all’utilizzatore anche il licenziamento intimato dal fittizio (apparente) datore di lavoro interposto, con l’effetto di impedire il ripristino della funzionalità del rapporto di lavoro ove tale atto non fosse stato impugnato nei termini di legge anche nei confronti del “datore di lavoro effettivo”.
Diversamente, già nella vigenza dell’art. 27 del dlgs 276/2003 (che disciplinava il lavoro somministrato prima della riforma introdotta dal dlgs 81/2015) la Suprema Corte a Sezioni Unite (sentenza n. 22910/2006) aveva rilevato come la somministrazione di lavoro continuasse a rappresentare nel nostro ordinamento “una eccezione, non suscettibile né di applicazione analogica né di interpretazione estensiva”, cosi che la fuoriuscita “dai rigidi schemi voluti del legislatore” configurava illecita somministrazione di lavoro. In tali casi il licenziamento del lavoratore intimato dal datore “interposto” risultava giuridicamente inesistente (Cass. 23684/2010).
Con la norma di interpretazione autentica introdotta dalla L. 77/2020 viene eliminato ogni dubbio interpretativo: tra gli atti di “costituzione e di gestione del rapporto di lavoro” non è compreso il licenziamento intimato dal “fittizio” datore di lavoro.
La portata della disposizione è rilevante. Infatti in ipotesi di “somministrazione irregolare” il lavoratore può chiedere “anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione”. Conseguentemente, l’eventuale licenziamento intimato dal datore di lavoro “fittizio”, ovvero dal soggetto che all’esito del giudizio di accertamento della somministrazione irregolare/illecita ha perso la qualifica di datore di lavoro, non riveste alcuna efficacia nei confronti del dipendente, in quanto non intimato da parte dell’effettivo datore di lavoro.
Il datore di lavoro effettivo non potrà dunque far valere nei confronti del lavoratore la legittimità del recesso e le sue motivazioni, risultando l’atto risolutivo “giuridicamente inesistente” con conseguente persistenza giuridica del rapporto di lavoro, né opereranno i brevi termini di decadenza previsti per la ordinaria impugnazione di licenziamento.
*Avvocata giuslavorista, vivo ed esercito la professione a Bologna, sempre dalla parte dei lavoratori. Nel più ampio costante confronto con tutte le problematiche connesse al diritto del lavoro, ho approfondito negli ultimi anni i temi della tutela antidiscriminatoria.