Lo scrittore tra gli operai in sciopero che distribuiscono i suoi libri. Cronache sindacali dell’800? No, giugno 2021. Piazzale antistante la Ceva Logistics, Stradella (Pavia), il più grande centro di distribuzione di libri in Italia. Gabriele Dadati, piacentino, classe ’82, autore di accattivanti romanzi storici per Baldini&Castoldi (Nella pietra e nel sangue sul Pier delle Vigne di dantesca memoria), fa quello che naturalmente avrebbe fatto chiunque prima dell’era della bolla dei social. Dans la rue, tra la gente. Fisicamente tra chi sciopera da giorni, picchettando l’azienda, bloccando camion in entrata e uscita con dentro anche il suo prossimo libro Secondo Casadei, Romagna mia e io che doveva uscire il 17 giugno.
“Non sapevo di questo sciopero finché non me l’ha comunicato il mio editore”, racconta Dadati a Ilfattoquotidiano.it. “Allora do un’occhiata a qualche articolo sui giornali locali, ma le motivazioni che le cronache attribuiscono agli scioperanti mi sembrano un po’ deboli. Strano, lo sciopero dura da una settimana e poi gli operai della logistica non godono di una quotidianità lavorativa d’oro. Ci sarà una sofferenza, penso, e credo da sempre che le persone vengano prima dei libri”.
Così lo scrittore scrive un post su Facebook, annuncia del ritardo del libro, e che è dalla parte della ragione degli scioperanti. Like ed emoticon si sprecano. Poi all’improvviso ecco il “senso di colpa”. “Sì, mi sono sentito un Matteo Salvini, o chi come lui, e sono tanti, che pubblica post su vicinanze fittizie a persone sconosciute. Ogni giorno una parola di cordoglio, una ‘giustizia per’, ma di quelle persone non sai niente. Credo che le cose siano due. O rivolgi un pensiero o una preghiera a chi ha difficoltà e lo fai in silenzio in casa tua, oppure pensi di essere utile, non scrivi sui social e vai dove le persone sono in difficoltà”.
Tra Piacenza e Stradella ci sono circa trenta minuti di auto. Dadati sale sulla sua Panda a metano blu (“comprata a rate”, specifica) e a metà percorso incrocia l’altro colosso della distribuzione, Amazon. “Se siamo una classe intellettuale mentre ci battiamo per stampare libri su carta riciclata o ci spendiamo sui diritti dei migranti, dobbiamo guardare da vicino il pezzo di mondo del lavoro che non avevamo ancora visto”.
Tra l’altro, in sciopero, sotto al sole, a picchettare, ci sono solo stranieri: “Non ho incontrato un italiano, tutti stranieri, per la maggior parte slavi”. Dadati si avvicina guardingo, cauto. Chiede, si informa, si presenta. “Il giorno prima ero stato a un pranzo di lavoro. Avevo messo una camicia a maniche corte Calvin Klein. Ad un certo punto ci ho tenuto a dirglielo. ‘L’ho presa in un outlet scontata’. Uno di loro mi ha mostrato la foto di un’auto bellissima che un suo collega aveva comprato a rate, ‘il suo sogno e il suo debito’ mi ha spiegato. C’è stato un azzeramento immediato delle gerarchie e delle distanze”.
Tra gli operai in sciopero c’è chi scherza, chi senza troppi problemi afferma di non aver mai letto i libri di Dadati, chi è pronto ad aiutarlo per “recuperare” qualche copia del suo libro stampato. L’unione fa la forza. Il “nemico” è da un’altra parte e quando questo elargisce uno stipendio “normale” da 1.300 euro al mese toccano straordinari di ogni genere e lavoro nel weekend oppure fiocca il tempo determinato tra una ridda di cooperative appaltatrici di servizi che, come accaduto nel 2018, non versano contributi, sfruttano la manodopera e frodano l’erario.
“Scioperare non è una cosa che fa piacere ai lavoratori”, spiega Dadati. “Stare giorno e notte su un piazzale, non percepire uno stipendio, lontani dalla famiglia, è pesantissimo. Noi siamo ancora fermi all’idea dello sciopero come vizietto degli statali. Invece lo sciopero è anche una sofferenza. Mi viene in mente quando per strada trovi qualcuno che chiede la carità. Tutti a guardare se ha un cellulare nuovo, ma la domanda che faccio io è ‘ti ci metteresti in strada in ginocchio a fare quello che fa lui?’. Cerchiamo di aver rispetto per la fatica dello sciopero”.
Picchetti&co. che, come nella maggior parte dei “conflitti” che attraversano il mondo della logistica in Italia, sono frutto esclusivo dell’attività del sindacato Sì Cobas. “Hanno modi più spicci dei sindacati confederati, sono anche più contestati e contestabili. È un modo di scioperare antico che ha pro e contro. Però parlando con i lavoratori il messaggio è chiaro, chiunque tra i sindacati si intesti la vittoria a loro non interessa. L’importante è ottenere rinnovi dei contratti e condizioni di lavoro decenti”.
Dadati finisce la sua giornata tra gli scioperanti con un’idea meravigliosa e davvero ribelle: perché tenere la premiazione del Premio Strega o del Campiello lì a Stradella, nel piazzale dello sciopero? “Non è una suggestione banale o scontata. Ci sono enormi bancali con metri e metri di libri. Piazziamo qualche seggiola in mezzo e l’attenzione tornerà sui problemi dei lavoratori della logistica dei libri e quindi anche di quelli della logistica generale in Italia”. Al momento in cui scriviamo i dieci giorni di sciopero degli operai della logistica alla Ceva si sono conclusi. Il 18 giugno ci sarà però uno sciopero nazionale della logistica. La battaglia continua. Con uno scrittore vicino.
Foto dal profilo Facebook di Sì Cobas