Nella fase più dura della pandemia il governo ha dovuto prevedere un aumento della spesa in diversi settori, e solo quando il Covid sarà passato si potrà quantificare con esattezza il balzo del debito pubblico italiano e pianificare modi e tempo del “rientro”. Ovviamente, sarà necessario assumere decisioni importanti e spesso impopolari, identificando i settori in cui effettuare i necessari tagli. E decidendo con velocità e senza accettare “dibattiti” quelle misure – come l’abolizione dell’inutilissimo Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) – alle quali si opporrebbero solo i numerosi e ben remunerati consiglieri.
Purtroppo, l’ex premier Matteo Renzi – che aveva identificato una serie di “tagli” molto rilevanti (a partire dal superamento del “bicameralismo perfetto” grazie alla eliminazione del Senato) – ha commesso due errori: non voler “spacchettare” la sua “grande riforma”; legare il proprio destino politico e personale all’esito del voto. Il che ha certamente moltiplicato il numero dei “no” e forse addirittura ha indotto a recarsi ai seggi elettori che altrimenti sarebbero rimasti a casa.
Fra le riforme di Renzi, quella che a me appare la più facile – diciamo meglio: “la meno difficile” – è la eliminazione delle province. Una proposta che si inseriva in una più ampia riduzione dei costi degli enti locali, a partire dalle Regioni, alle quali Renzi toglieva molti poteri (e molti privilegi alla casta dei “governatori” e degli oltre 1.100 consiglieri regionali). Le province sono state introdotte dai piemontesi dopo l’Unità d’Italia: in Italia sono 107, comprendendo le 14 città metropolitane, che nessuno sa esattamente cosa siano e a cosa servano. Le loro competenze – non a caso vaghissime anche nella Carta Costituzionale – sono in realtà residuali rispetto ai “poteri forti” delle regioni e dei comuni, ma non per questo meno estese ed eterogenee, andando dalla cura delle strade alla edilizia scolastica alla tutela della fauna.
Ecco, ad esempio, le materie su cui ha competenza la provincia più importante d’Italia, quella di Milano: “Agricoltura, ambiente, lavoro, cultura, formazione professionale, lavori pubblici, istruzione scolastica, protezione natura e parchi, servizi sociali, territorio e urbanistica”. Ma l’interesse principale di molti presidenti e consiglieri sembra rivolto ad una dissennata attività di sponsorizzazione delle più disparate iniziative e di “missioni all’estero”, con tanto di costose sedi di rappresentanza. Con circa 4000 consiglieri e assessori. Una riduzione dei costi, irragionevoli per questa “casta provinciale”, si era avuta nel 2014 con la riforma voluta dal ministro Graziano Delrio, a seguito della quale i consiglieri non vengono più eletti, ma scelti fra i sindaci delle città e dei paesi che fanno parte di ciascuna provincia.
L’abolizione delle province è particolarmente importante, anche perché con la loro scomparsa apparirebbero ancora più inutili diversi organismi che, intanto, esistono in quanto legati appunto alle province. In particolare, potrebbero finalmente sparire le Prefetture: una struttura importata da Napoleone, che poteva avere senso quando le distanze – materiali e immateriali – dalla Capitale erano tali da esigere sedi periferiche del governo centrale; ma che non ne ha più alcuno nell’era dei computer e della Rete, con le loro capacità di comunicazione in tempo reale. Ricordo, fra l’altro, che quasi tutte le Prefetture italiane hanno sede in sfarzosi palazzi d’epoca: sia nelle grandi città (Palazzo Medici Riccardi a Firenze) sia nelle piccole come Lucca, dove il Prefetto vive in quella che fu la reggia di Maria Luisa di Borbone (e lo stesso vale per molti dei palazzi in cui hanno sede le Province).
Personalmente – dato che mio padre è stato il “prefetto partigiano” di Milano nel dopoguerra – posso testimoniare che la sede di quella Prefettura, l’antico Palazzo Diotti, è assolutamente spropositata per quello che ormai è un funzionario dello Stato con pochi poteri: oltre agli splendidi appartamenti privati del Prefetto, ci sono un’immensa sala da ballo, una sala da musica, una da biliardo e una per la scherma, con maschere, sciabole e fioretti. Oltre ad un vero e proprio parco, con splendidi alberi secolari. E lo stesso dicasi – sia pure valutando caso per caso – degli uffici provinciali delle imposte, del lavoro e via dicendo, tutti duplicati degli omonimi uffici regionali.