La decisione sul ricorso presentato dall'ex governatore del Veneto dopo la decadenza da deputato è definitiva. La Corte con sede a Strasburgo accetta "la scelta del legislatore italiano di scegliere come riferimento per l’applicazione della legge Severino la data in cui una condanna diviene definitiva e non quella in cui sono stati commessi i reati"
La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha dichiarato all’unanimità “irricevibile” il ricorso di Giancarlo Galan contro la legge Severino che regola il tema della prevenzione e del trattamento della corruzione in Italia, nella politica e nella Pubblica amministrazione. La Cedu ha affermato che la destituzione dell’ex parlamentare dal suo mandato in seguito alla condanna per corruzione negli appalti del Mose non può essere considerata una pena. Il Parlamento italiano aveva deciso per la sua decadenza da deputato quasi due anni dopo l’arresto, avvenuto nel luglio 2014.
La Corte europea fa riferimento all’articolo 7 della Convezione europea dei diritti umani che prevede la non retroattività delle leggi in materia penale e la legge Severino, in effetti, ha valore retroattivo se riguarda la sospensione di una carica comunale, regionale o parlamentare se la condanna avviene dopo la nomina del soggetto in questione. Ma secondo la Corte europea la decadenza da deputato non può essere equiparata a una pena. Nel suo ricorso, l’ex governatore del Veneto ha dichiarato di aver subito le stesse violazioni di Silvio Berlusconi. Galan, infatti, come anche Berlusconi a suo tempo, considera la destituzione del suo mandato attuata dalla legge Severino come una pena in piena regola. Inoltre, sostiene, la decisione del Parlamento di porre fine al suo mandato lo avrebbe privato del diritto di rappresentare coloro che lo avevano eletto. A sostegno della sua posizione, l’ex governatore ha anche evidenziato l’assenza in Italia di una via legale per fare ricorso attraverso un tribunale contro la destituzione da una carica e l’incandidabilità prevista dalla legge Severino.
Ma la decisione di “irricevibilità” del ricorso da parte della Cedu è definitiva. La Corte con sede a Strasburgo, accetta “la scelta del legislatore italiano di scegliere come riferimento per l’applicazione della legge Severino la data in cui una condanna diviene definitiva e non quella in cui sono stati commessi i reati”. La Corte ritiene che l’incandidabilità sia dunque “coerente” con la finalità del legislatore, ossia rimuovere dal Parlamento gli eletti condannati per reati gravi e tutelare così l’integrità del processo democratico. “Questo divieto di candidarsi non può essere considerato arbitrario o sproporzionato”, sottolinea l’istituzione. In risposta a quanto sostenuto da Galan sull’assenza di vie legali per ricorrere contro le misure previste dalla legge Severino, la Cedu sostiene che la procedura parlamentare che porta alla destituzione del mandato offra già garanzie sufficienti.