“Con la scusa del Covid i genitori non hanno più potuto mettere piede nelle mense impedendo loro di svolgere una necessaria attività di controllo”. A denunciare questa situazione è Claudia Paltrinieri, presidente dell’associazione “Foodinsider” che ieri 16 giugno ha presentato presso la sala stampa della Camera dei Deputati a Roma, il sesto rating dei menu scolastici. La fotografia che emerge è a tinte grigie e il primo dato che balza all’occhio è che solo il 7,9% del panel di genitori ha dichiarato di aver potuto fare ispezioni con regolarità; il 17% solo poche ispezioni e il 75,1% non è stato autorizzato ad entrare a scuola per adempiere all’attività di controllo.
Fuori mamme e papà, tra i banchi, la situazione non è migliorata: i bambini mangiano sempre più cibi processati; più carne rossa e le refezioni sono sempre meno ecologiche perché usano piatti e bicchieri di plastica o da buttare. L’indagine valuta l’equilibrio e l’impatto sull’ambiente di una cinquantina di menu rappresentativi del 28% circa del panorama della ristorazione scolastica a livello nazionale. I numeri attingono da informazioni pubblicate dai Comuni all’interno della tabella dietetica e delle informazioni ricevute via email dal personale amministrativo dei vari Comuni coinvolti. Per quanto riguarda la qualità del cibo si passa dalla percentuale del 75,5% dello scorso anno di cibi processati all’81,5% di quest’anno.
Un dato che va di pari passo con l’aumento della frequenza di carni rosse con la città di Terni che detiene il record di dieci proposte su venti giorni di mensa. Nei piatti degli alunni arrivano sempre più pizza, bastoncini, hamburger, crocchette, formaggio spalmabile yogurt e budino. Si continuano a trovare menu squilibrati con pasti iperproteici dati dalla la somma di più proteine, vegetali e animali come: pasta e fagioli, frittata e piselli (Grosseto) oppure pasta e ceci, tacchino e piselli prosciuttati (Lecce) che propongono un pasto che va ben oltre il valore nutrizionale consigliato per bambini.
“Si allarga la forbice tra la mensa “resiliente” – spiega Claudia Paltrinieri – che nonostante le difficoltà organizzative dovute al consumo del pasto in classe, ha investito per migliorare o mantenere alto lo standard qualitativo del servizio, rispetto a quelle mense dove il servizio è equiparabile ad una sorta “di fast food a scuola”, dove si è approfittato nel cogliere alla lettera l’indicazione di questa estate del Comitato tecnico scientifico di “semplificazione” del pasto, arrivando persino a sospendere la somministrazione dell’acqua”.
Diminuiscono le mense che somministrano il pranzo con stoviglie lavabili, scendendo dal 65% al 59%. Un dato peggiorativo che significa tanto usa e getta sia in refettorio che in classe, soluzione che non va nella direzione della sostenibilità come indicato invece dal ministero dell’Ambiente. Altra questione: la povertà alimentare. Il rating registra qualche nota positiva: Belluno e Latina hanno dirottato la cucina della mensa scolastica per produrre piatti per la mensa dei poveri; mentre Cremona e Bergamo hanno risposto ampliando il numero di gratuità e bonus per consentire l’accesso a tutti al servizio mensa.
Andando a vedere la classifica delle città Fano, Cremona e Parma a pari merito sono al secondo posto tra i virtuosi, a seguire, Jesi. I migliori Comuni si distinguono per la biodiversità dei piatti, per l’equilibrio della dieta, la capacità di elaborare ricette e la qualità delle materie prime, in gran parte biologiche, ma anche per la varietà di pesce, anche fresco come Jesi che propone alici, cefalo, triglia, gallinella sgombro. Sale Bologna che entra nella top ten ma scende Macerata che ha iniziato a chiudere alcune cucine interne alle scuole, suscitando grande disappunto dei genitori, mentre Siracusa, sale di dodici posizioni riscattandosi dalla maglia nera dello scorso anno.