Era il 1966 quando al Festival di Sanremo con grande coraggio Adriano Celentano denunciava la speculazione edilizia in atto nella sua Milano. Era “Il ragazzo della via Gluck”. E proprio a Sanremo, guarda caso, Italo Calvino aveva ambientato tre anni prima il suo romanzo breve La speculazione edilizia. Come a dire che tutto il mondo è paese.
Ma noi che amiamo la Terra, le piante, gli animali, quanto vorremmo che l’Italia tornasse a essere quella che allora Celentano, Calvino, ma anche Pasolini o Cederna denunciavano! Quanto meno fatto salvo il fenomeno dell’abuso edilizio che permane tuttora, era ancora la mano pubblica a guidare l’edilizia, anche se era una mano di manica sempre più larga. Poi il pubblico si ritirò per lasciare spazio al privato, comparve l’urbanistica contrattata e, con buona pace di quella funzione sociale che dovrebbe essere garantita in base all’art. 42 della Costituzione, le nostre città si riempirono di palazzoni, di supermercati, di quartieri dormitorio; le nostre campagne di capannoni industriali, di poli della logistica e quant’altro. Per non parlare delle stupide grandi opere.
E sì che l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ci ammonisce sul valore dei servizi ecosistemici, ossia dei benefici che il capitale naturale offre all’uomo; e sì che ormai non vi è politico, per ignorante che sia, che non sappia che l’alterazione del territorio non può che contribuire a un degrado della qualità della vita.
Insomma, tutto continua come prima, nell’indifferenza della gente, che anzi premia chi costruisce di più, vedasi l’esempio del Veneto: Luca Zaia è molto amato a fronte del maggior consumo di suolo in Italia! E noi che amiamo la natura continuiamo a denunciare nella piena consapevolezza che ciò che facciamo non serve a nulla. Pur sulla scorta della convinzione dell’inutilità dell’operare, questa volta porto non uno, bensì due esempi di attualità: ecco il primo.
I prati di Parella, Torino. La città metropolitana si posiziona al secondo posto in termini di consumi assoluti dopo quella di Roma. In compenso Torino città va in controtendenza, molto probabilmente a causa della crisi edilizia e del decremento di popolazione, non certo grazie alla giunta pentastellata, visto che Roma città ha uguale giunta e il maggior consumo di suolo in Italia. Ciononostante a Torino resistono alcune aree verdi di cui è previsto l’azzeramento. Sono i cosiddetti “prati di Parella”, perché ubicati nel quartiere Parella, un quartiere nella zona ovest fortemente urbanizzato e quando sei un prato vergine circondato dai palazzi, ahimè, la tua fine è segnata.
Uno di questi prati di 11000 metri quadri però è di proprietà pubblica. Nonostante ciò pende su di esso una mannaia: il Prg (Piano regolatore generale) non lo preserva dall’edificabilità e anzi su di esso potrebbe essere realizzato un palazzetto per la pallavolo. Non solo, si parla anche di due edifici di sette piani atti a ospitare gli atleti delle Universiadi 2025. A Torino ci sono diverse aree dismesse che potrebbero servire allo scopo, ma costruire su un prato costa meno (!).
Contro l’insensato progetto si è costituito un comitato “Salviamo i prati di Parella”, molto attivo sia in rete sia sul posto con manifestazioni sia per la città con una raccolta firme per una delibera di iniziativa popolare volta a rendere il prato inedificabile. Intanto si allunga l’ombra delle prossime elezioni con un sindaco leghista alle porte… Io un mio progetto per il prato l’ho esplicitato al comitato: non farci nulla. Lasciare che la natura faccia il suo corso, al massimo mettere a dimora qualche albero che rimandi alla foresta planiziale.