Il Tribunale di Gorizia ha fatto cadere le accuse formulate a carico di 11 imputati e dell’ex Consorzio Connecting People. Sono servite quaranta udienze per analizzare le modalità di gestione e i finanziamenti erogati dal 2011 al 2013, che ruotavano attorno alla società, agli approvvigionamenti e al numero degli ospiti per i quali era stata rimborsata la retta
È finito con un’assoluzione generale perchè il fatto non sussiste il processo di primo grado per la gestione del Cie-Cara di Gradisca d’Isonzo che una decina di anni fa ha ospitato qualche centinaio di richiedenti asilo. Il Tribunale collegiale di Gorizia, presieduto da Cristina Arban, ha fatto cadere tutte le accuse formulate a carico di 11 imputati e dell’ex Consorzio Connecting People, poi trasformatosi in Consorzio Aretè per incorporazione di società. Sono servite quaranta udienze per analizzare le modalità di gestione e i finanziamenti erogati dal 2011 al 2013, che ruotavano attorno alla società, agli approvvigionamenti e al numero degli ospiti per i quali era stata rimborsata la retta. Le accuse erano di associazione a delinquere e di una serie di altri reati (peculato, false fatturazioni) legati alla fornitura di materiali e fatture che secondo i pubblici ministeri non erano conformi alla realtà.
Tra gli assolti Vittorio Isoldi, di Gorizia, all’epoca direttore del Cie, Giuseppe Scozzari di Castelvetrano (Trapani), Orazio Ettore Micalizzi di Acireale (Catania) e Mauro Maurino di Val Della Torre (Torino), rispettivamente presidente, vicepresidente e consigliere di amministrazione del Consorzio. Nell’elenco anche Gianluca Negro di Gorizia – già dipendente dell’ente consortile – Gianfranco Crisci, titolare di un’impresa slovena che forniva pasti al Consorzio, Giovanni Scardina di Trapani, già direttore del Cie, e gli impiegati Stefania Acquaviva, Flavio Bello, Diego Bezzi e Pietro Chiaro. Il pm Valentina Bossi aveva chiesto sei condanne – per una pena complessiva di 16 anni di carcere – e cinque assoluzioni. Inoltre, aveva chiesto la confisca per equivalente pari a 3 milioni di euro nei confronti del Consorzio Aretè. Da questo procedimento erano scaturiti altri filoni, uno dei quali riguardante l’allora prefetto Vittorio Zappalorto (poi diventato prefetto a Venezia), che era stato prosciolto.