Stasera va in scena in quel di Wembley la palpitante Inghilterra-Scozia. Un classico. Anzi, il classico dei classici. La pietra fondante del calcio moderno. Perché è una sfida epocale. Dura infatti da 149 anni: la rivalità del pallone (ma non solo) fra nazioni più antica che ci sia. Un derby dell’anima, più che della pedata: si intrecciano storia, tradizione, cultura che hanno diviso e continuano a dividere due popoli che non si amano, che si sono combattuti sino all’ultimo sangue.
Sentimenti che ritrovano slancio e passione di questi tempi difficili, l’Inghilterra che ha imposto la Brexit, la Scozia in cui i fermenti indipendentistici sono sempre più forti. Non dimentichiamo che per gli scozzesi gli inglesi sono gli Auld Enemy, gli antichi nemici. Gli avversari fisiologici. I ladri della loro libertà. Per gli inglesi, gli scozzesi sono la Tartan Band, qualcosa di folcloristico, velleitari avversari il cui valore, sul mercato del calcio, è di cinque volte inferiore. Basta leggere i dati (li trovate sul sito tedesco di Transfertmarkt, la bibbia del mercato calcistico): la rosa guidata dal ct Gareth Southgate è quotata 1,26 miliardi di Euro. Quella di Steve Clarke 269 milioni. L’arroganza del denaro contro l’orgoglio dei poveri. Ma anche la consapevolezza (inglese) di essere più forti. Il che scatena un antagonismo atavico, capace di iniettare selvaggia energia. A dire il vero, più sentito, vissuto e patito dagli scozzesi, vittime e minoranza.
Per questo, i match fra le due nazionali più che incontri spesso diventano scontri. Ma sempre nel rispetto delle regole del gioco. Da cuore impavido. Braveheart…
Proprio le regole del gioco sono richiamate nel primo manifesto della storia calcistica che annunciava a Glasgow l’International Foot-Ball Match tra England e Scotland (da disputarsi secondo le “Association Rules”). L’appuntamento fatidico era stato fissato sabato 30 novembre, alle due del pomeriggio nell’anno di grazia 1872, sul prato ben curato del West of Scotland Cricket Ground, ad Hamilton Crescent di Partick. Il biglietto d’ingresso costava uno scellino, un prezzo abbastanza abbordabile. Non era un giorno qualsiasi: in quel giorno si celebrava la ricorrenza di Sant’Andrea, patrono della Scozia, ed era tradizione che le feste comprendessero anche sfide sportive, prove di coraggio, sfilate spettacolari, basate su grandi temi popolari che rievocavano spesso le lotte per la libertà e per la giustizia. Insomma, i conti con la Storia quel giorno sarebbero stati fatti anche giocando al football…
Purtroppo, sul campo infestò la nebbia, la scarsa visibilità impediva di giocare e la partita slittò di venti minuti. I quattromila spettatori si consolarono con canti patriottici e fiaschette di whisky. Allora nessuno era consapevole che quell’incontro sarebbe diventato il primo match internazionale della storia calcistica mondiale (così lo ha riconosciuto a posteriori la Fifa, organismo che allora non esisteva). In campo le due formazioni erano schierate indossando le maglie che ancor oggi portano: gli inglesi in bianco, con i tre leoni nello scudo. Gli scozzesi in azzurro scuro, con un leone sul petto.
Non era però una novità, Inghilterra-Scozia. La federazione inglese era stata fondata nel 1863, mentre la prima competizione – The Cup – fu disputata nella stagione 1871/1872. Per arricchire il programma, la federazione inglese aveva organizzato nello stadio Oval di Kennington ben cinque incontri tra giocatori inglesi e scozzesi. Ma la Fifa non li vidimò, perché tutti i calciatori scozzesi erano nati e risiedevano a Londra e giocavano in squadre locali. Comunque, tre volte vinsero gli inglesi, due volte finì pari. Le cronache riferiscono che gli spettatori furono appena 500.
La federazione inglese decise di portare la sfida in casa degli scozzesi. Mise in piedi una selezione che comprendeva giocatori di ben nove squadre differenti (tre di loro erano studenti di Oxford). La trasferta fu fatta in treno, 640 chilometri. La Scozia era invece rappresentata dai giocatori di una sola squadra, il Queen’s Park FC, il club era stato fondato nel 1867. L’arbitro, William Keay, ne era il tesoriere, mentre uno dei giudici di linea (gli assistenti arbitrali che noi chiamiamo guardalinee o segnalinee) era il segretario della federazione inglese. La federazione scozzese non esisteva ancora, sarebbe nata nel 1873. Un dettaglio che spesso viene invocato per inficiare il primato storico di quella partita. Che finì con un salomonico pareggio senza reti, a causa dei super catenacci impostati dalle due squadre. Per gli amanti dei moduli, la Scozia mise in atto un 1-2-2-6 mentre l’Inghilterra, che in realtà dominò l’incontro, le contrappose il baluardo dell’1-1-1-8. Le porte non avevano la traversa ma solo i pali. E questo provocò qualche contestazione.
Quattro mesi dopo, nel marzo del 1873, si disputò la rivincita a Londra che si concluse col trionfo inglese (4-2), il primo di una lunga serie. Dalla Scozia erano arrivati solo otto giocatori, mancavano i soldi per i viaggi e la permanenza nella capitale britannica, assai più cara di Glasgow. La squadra fu integrata da tre giocatori di origine scozzese, nati però a Londra. Le statistiche dicono che sinora Inghilterra e Scozia si sono affrontate 114 volte, che gli inglesi hanno vinto 48 partite, gli scozzesi 41 e che ci sono stati 25 pareggi. La Scozia non partecipava alle fasi finali di un grande torneo internazionale da 23 anni. Quest’assenza ha avuto l’impatto di un lutto collettivo, ventitré anni di umiliazione.
Resta la consolazione che Scozia ed Inghilterra sono le due nazionali che si sono sfidate più volte. Sono, in fondo, la piccola grande storia del calcio.