Si chiama “Euro Strike 2020”, l’operazione della guardia di finanza che ha portato all’oscuramento di più di 600 siti web non autorizzati a trasmettere gli Europei di calcio. Tutto è partito dalla Uefa che – in quanto titolare dei diritti di trasmissione delle partite – ha segnalato la proliferazione di portali streaming pirata che permettevano di seguire gli eventi attraverso la Iptv, ovvero la Internet Protocol Television – la tv attraverso la rete. Nello specifico, i sequestri hanno riguardato: 276 siti vetrina, utilizzati per la promozione e commercializzazione di servizi Iptv illegali collegati agli Europei 2020; 142 infrastrutture Iptv attraverso cui vengono materialmente trasmessi i flussi audiovisivi pirata; 30 siti di live streaming che offrono la possibilità di seguire in diretta le partite e 164 linking site da cui è possibile scaricare contenuti protetti dal diritto d’autore per mezzo di cyberlocker.

L’operazione contro la pirateria audiovisiva, coordinata dalla procura di Napoli, è partita fin dall’inizio dell’evento sportivo. Il Nucleo speciale per la tutela della privacy e le frodi tecnologiche della guardia di finanza ha monitorato la disponibilità di streaming illegali già dalla cerimonia inaugurale di Roma dello scorso 11 giugno. L’intervento ha portato alla luce un complesso sistema di piattaforme che venivano alimentate contemporaneamente da diverse “sorgenti di contenuti” ubicate in Europa. Il sistema aveva la funzione di trasformare un contenuto protetto dal diritto d’autore in normali flussi di dati che vengono costantemente distribuiti in tutto il mondo.

Dopo la fase investigativa dell’operazione, la guardia di finanza ha messo a punto un sistema di tracciamento che ha permesso di individuare anche i fruitori dei siti pirata: tutti coloro che guardavano le partite attraverso streaming illegali si sono visti comparire sullo schermo l’avviso che il sito era stato posto sotto sequestro e che anche i loro dati erano stati rilevati. I responsabili dei siti pirata rischiano ora la reclusione da sei mesi a tre anni e una multa che può arrivare a 15.493 euro. Mentre, gli utenti – oltre 100mila persone solo ieri – riceveranno automaticamente una sanzione di 1.032 euro.

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